HomeNotizieCRONACAChiude 'I Fatti del Molise': un'altra voce spezzata nell'indifferenza dei soliti noti

Chiude ‘I Fatti del Molise’: un’altra voce spezzata nell’indifferenza dei soliti noti

L’editoriale-commiato del direttore Pino Cavuoti

CAMPOBASSO. Si chiude oggi, dopo tre anni e un mese, ‘I Fatti del Molise’. Il quotidiano, sorto sulle ceneri del ‘Nuovo Molise Oggi’ di Giuseppe Ciarrapico, aveva aperto i battenti il 1° settembre 2010: il direttore, Lucia Sammartino, dopo pochi mesi prese altre strade, cedendo lo scettro a Pino Cavuoti. E’ stato lui a traghettare la redazione giorno dopo giorno, tra mille avversità, motivando la squadra e infondendo il coraggio necessario in quanti spesso – tra stipendi arretrati, inevitabili pressioni politiche, minacce di querele e ogni altra asperità che costella il pianeta del giornalismo locale – hanno vacillato più volte, pensando di mollare. Ma Pino ha saputo tenere uniti i suoi colleghi, tutti giovani di belle speranze, facendo da chioccia per tutti loro. Come un padre, anzi un buon padre di famiglia: e senza mai alzare i toni, senza mai una parola fuori posto per nessuno. Con umiltà, sacrificio, coraggio.

Con un accorato editoriale di commiato, che occupa l’intera prima pagina del ‘suo’ giornale, Pino stamani saluta i lettori e  - per adesso – conclude la sua avventura professionale dopo 17 anni trascorsi in una regione difficile qual è il Molise. La sua avventura editoriale – e quella di circa 10 professionisti rimasti accanto a lui fino all’ultimo istante di vita de ‘I Fatti’ – si conclude con amarezza e grande rimpianto. Nel silenzio e nell’indifferenza generale dei soliti noti che hanno preferito girarsi dall’altra parte. Di essi, ci occuperemo in altra sede. Per ora, vi proponiamo il testo integrale dell’editoriale, intitolato “Addio”.

Cari lettori,
oggi è l’ultima volta che questo giornale sarà regolarmente in distribuzione. Come si dice in questi casi: vengono sospese le pubblicazioni. E’ il risultato del fallimento di un progetto che in questi 39 mesi non è riuscito a concretizzarsi per consentire di garantire un futuro alla testata e alle persone che a vario titolo vi hanno lavorato. Le ragioni sono tante e per non cercare colpevoli fuori dalle nostre quattro mura, ci assumiamo le nostre responsabilità. Non siamo stati capaci di confezionare un prodotto editoriale in grado di essere gradito da chi si reca in edicola e chiede la sua copia giornaliera. Fatta questa ammissione di colpa resta la consapevole amarezza che ogni giorno è sempre più difficile fare editoria, e non solo nella nostra regione. Basta affacciarsi nelle altre redazioni per respirare aria di crisi per i lavoratori, sempre con le dovute eccezioni, che come da noi, quando sono pagati, percepiscono meno di quanto sia dovuto. Senza sostegno pubblico non ci sono i margini per sopravvivere a meno che non ci siano imprenditori disposti a farsi carico delle perdite. Ma non è più il tempo, e non credo di svelare un segreto, delle vacche grasse. Tutte le aziende, anche quelle che appaiono più floride, hanno problemi di liquidità. Al meglio si tira a campare, quando è ancora possibile, e per il resto la cronaca economica quotidiana ci consegna aziende che chiudono con i loro carichi di drammi umani, saracinesche che si abbassano perché sono stati mortificati i consumi. Un periodo di crisi economica che dagli anni Sessanta a oggi non abbiamo mai conosciuto con queste dimensioni così drammatiche. E per fare una digressione di politica nazionale a Roma il centrodestra si diverte a sostenere le ragioni del nostro senatore. Tutti pronti con le dimissioni in mano per un personaggio che per le nostre leggi è un condannato passato in giudicato. C’è la crisi e non è storia di questa mattina. Vi ricordate cosa disse Berlusconi da presidente del Consiglio dei ministri solo qualche giorno prima di essere sostituito da Monti? «I ristoranti sono pieni, non credo che voi vi accorgiate andando a vivere in Italia che l’Italia senta un qualche cosa che possa assomigliare a una forte crisi, non mi sembra». Era il 4 novembre del 2011. E cosa aggiungere alla frase che viene ricordata del 15 dicembre 1995: «Dire che io utilizzo la mia posizione di leader politico per interessi personali è negare il disinteresse e la generosità che mi appartengono». E’ la dimostrazione di come ci siano due paesi diversi, quello reale, il nostro, e quello immaginato e vissuto da chi ci governa. La stessa cosa si potrebbe dire dei nostri vecchi e nuovi amministratori regionali che per una strana alchimia una volta che mettono piede a Palazzo Moffa si dimenticano di cosa accade al di fuori della porta d’ingresso. E badate bene non è una frase fatta. Vedete l’impatto tra l’opinione pubblica per il modo con cui hanno trattato la questione prebenda. O il clamore che sta suscitando la gestione dell’art. 7 per i portaborse, di cui difendo la necessità, nella misura in cui ci sia chiarezza di posizioni contrattuali ma soprattutto che non ci sia lo scambio reciproco di famigliari tra i gruppi al di là del rapporto fiduciario. Ma è anche questo uno spicchio della nostra Italia. I giornalisti de I Fatti del nuovo Molise non percepiscono lo stipendio dall’inizio dell’anno. Abbiamo tutti una famiglia, e non sempre c’è chi ha il coniuge che lavora. In questo momento con il cuore aperto vogliamo sentirci vicino a quei lavoratori che sono nelle nostre stesse condizioni. Vi sentiamo nostri compagni di sventura e credetemi con quanta partecipazione condivisa in questi mesi ci siamo commossi nel titolare le vostre battaglie per il diritto allo stipendio e alla dignità. Ma lo abbiamo fatto nel silenzio nella consapevolezza che il diritto all’informazione sia un qualcosa di insopprimibile, come l’aria che respiriamo. Non si può non respirare; avete mai provato a chiudere il naso e la bocca? Con un impeto improvviso avete dovuto riprendere a farlo. E sono certo che, nonostante si chiuda una voce in Molise, chi resterà saprà fare di più e meglio per i molisani che hanno il diritto di sapere. Anche se sono consapevole che la pluralità di informazione genera più democrazia anche se, da tempo, vado sostenendo, che in Molise non è così quando i giornali non rispondono sempre al lettore ma all’editore e soprattutto al politico che deve garantirti il pane tutti i giorni. Nel nostro quotidiano siamo stati tanto indipendenti da saper sbagliare da soli. Nella scelta della linea editoriale e dei padroni che non abbiamo mai avuto. In alcuni frangenti ci è stato prospettato un quadro politico, ma tutto sommato è stato fatto un giornale qualunquista. Sentendo la pancia delle persone, degli amici e dei colleghi. Oggi avverto questa sensazione di impotenza. Di fallimento. Per un discorso che si interrompe definitivamente, dal punto di vista professionale e affettivo con il Molise. A cui sono legato – e ora concedetemi uno spazio tutto personale – da una serie di motivazioni famigliari. A Termoli sono nati due fratelli di mio padre nel 1940 e nel 1941. Ho frequentato le scuole medie a Campomarino negli anni scolastici 1973-1975, iscritto all’Ufficio leva di Campobasso. Nel 1996 è iniziata la mia presenza in questa regione con l’allora Nuovo Oggi Molise, che si è interrotta nel giugno del 2010. Dal 1 settembre 2010 parte il Nuovo Molise, poi diventato i Fatti del nuovo Molise. Diciasette anni e nove mesi. Una parte importante della mia vita. In questi anni ho conosciuto in redazione belle persone, che mi hanno arricchito. A una più di altre sono stato legato soprattutto come amico, sono certo di aver deluso più di qualcuno, ma spero che il calcolo computistico risulti alla fine con il segno più. Ho frequentato tanta brave persone, anche avendo il piacere di sedermi attorno una tavola e i chili presi in questi anni sono la dimostrazione dei buoni risultati di questa pratica. Mi sono legato anche ad alcuni amici incontrati cammin facendo, di cui uno non di alta statura che mi ha ospitato persino a casa sua e di cui continuerò ad apprezzare lo stile logorroico di affrontare le questioni politiche. Di due persone voglio fare nome e cognome, perché più di altre legate a questo giornale e di cui riconosco lealtà e amicizia. Si chiamano Giuseppe Santone e Cosmo Galasso. Hanno dato il sangue perché questo programma editoriale potesse andare avanti. Ho il sospetto che più che per la loro incapacità ci sia stata una serie di circostanze sfavorevoli che hanno concorso a far diventare tutto più maledettamente difficile. Come un malocchio, una fattura, di qualche strega e non lo dico per un fatto di genere. Chi ha avuto la forza e il coraggio di arrivare fino a questo rigo e pensa di accompagnarmi fino alla fine della pagina voglio dire ancora grazie. In tanti mi hanno seguito offrendomi suggerimenti e critiche. Anche quando ho dato l’impressione di non ascoltare ho serbato le parole con grande rispetto, nel mio cuore e nella mia mente. Parole che mi sono ritornate utili nelle scelte compiute. Oggi mi sono voluto fare un regalo. Come accade per lo sconfitto al quale gli avversari gli concedono l’onore delle armi. Dare sfogo ai pensieri che in questo momento mi inseguono e vogliono trovare memoria, nero su bianco. Addio è la parola che ho scelto per questo commiato. E l’ho fatto scegliendo come fondo il verde. Speranza. E per quel po’ di fede che ho voglio farlo citando una frase del capitolo 13 della Lettera ai Romani: «La notte è avanzata, il giorno è vicino». L’esperienza fatta in questi anni in Molise mi ha arricchito. Mi auguro di aver lasciato una traccia. E prima di battere il tasto con il segno del punto voglio chiedere scusa a chi ho fatto del male. La mia superficialità, la mia inesperienza, la mia arroganza hanno avuto il meglio rispetto alla realtà dei fatti i quali più che interpretare bisognerebbe solo raccontare, attenendosi ad essi, anche se da una prospettiva che è pur sempre personale. E l’ultimo pensiero non può che andare a i Fatti del nuovo Molise, agli attuali compagni di sventura e quelli che ho perduto per strada. Un saluto a Lucia Sammartino che ne è stato il primo caparbio direttore. Grazie a voi, cari colleghi. Non finirò mai di dirvi grazie per il lavoro che avete assicurato nel riempire di contenuti queste pagine che spesso sembravano non dover finire mai. Senza di voi, questo è vero, il giornale non si sarebbe potuto chiudere ogni sera, come se avenisse per miracolo. Una corsa contro il tempo in una regione dove l’inverno non è solo una stagione ma una presenza ingombrante. La magia della stampa per consegnare il giorno dopo, grazie alla distribuzione, il giornale nelle edicole. Come il buon pane fresco, che ogni mattina vorremmo trovare sulle nostre tavole. Da martedì noi non ci saremo più e non sarà una cosa bella.

Pino Cavuoti

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