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Beccati con oltre sette chili di droga e un arsenale di armi, condannati i due giovani pusher venafrani

Erano finiti nella rete della Squadra Mobile di Isernia nel maggio dello scorso anno. Gli agenti fecero irruzione in uno scantinato e tre di loro rimasero feriti in una colluttazione


ISERNIA. Condannati i due giovani venafrani finiti nella rete della Squadra Mobile di Isernia perché sorpresi con oltre sette chili di droga e un arsenale di armi all’interno di uno scantinato. 

Per loro, Marco Parascandolo di 26 anni e Marciano Gatti di 28 anni, il giudice del tribunale di Isernia, all’esito del procedimento celebrato con rito abbreviato, ha stabilito una pena rispettivamente di 5 anni e otto mesi e 5 anni di reclusione, più risarcimento danni per oltre 20mila euro a testa, per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti e lesioni. Questo perché, all’atto dei controlli di polizia, i due ragazzi avrebbero dato in escandescenze ingaggiando una colluttazione con gli uomini della Mobile. E tre agenti – rappresentati in aula dagli avvocati Stefano Cappellu e Raimondo Fabrizio -, tra cui il dirigente, rimasero feriti.

Il blitz – si ricorda – scattò nella notte tra il 7 e l’8 maggio del 2018. I giovani si trovavano in uno scantinato sito in città a Venafro. Nel locale furono rinvenuti tre bilancini di precisione, involucri di cocaina per oltre 68 grammi, 91 grammi di hashish, circa 6 chili e mezzo di marijuana (che posta sul mercato avrebbe fruttato almeno 20mila euro, ndr) e altri materiali per il confezionamento delle droghe.
Nell’abitazione di uno dei due fu scoperto altresì un arsenale di armi, comprensivo di due balestre, sei pistole modificate, un fucile a piombini, una mazza da baseball e tre coltelli. In più, altra cocaina e, occultata in una valigia, una pistola Beretta.

Oggi la sentenza. Mentre le motivazioni verranno rese note tra 60 giorni. Raggiunto il legale di Parascandolo, l’avvocato Gianluca Giammatteo, questi ha manifestato l’intenzione di ricorrere in Appello, non prima chiaramente di conoscere le motivazioni alla base delle condanne. “Sebbene rispettiamo la sentenza, – ha detto – la riteniamo ingiusta”.

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