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Isernia, pazienti neurologici: ancora caos a sei mesi dalla chiusura del reparto

A complicare la situazione è la paura legata alla diffusione del Covid che rallenta gli interventi, mettendo a rischio la vita delle persone che si trovano a lottare con patologie tempo-dipendenti. Mancano indicazioni precise sulla gestione dei pazienti Stroke


ISERNIA. Ancora criticità al Veneziale di Isernia a seguito della chiusura del reparto di Neurofisiopatologia, che risale ufficialmente al 2 dicembre  scorso. Percorsi non ancora ben definiti per lo smistamento dei pazienti presso le atre strutture, come lamentano dal Pronto Soccorso, e a complicare la situazione è la paura legata alla diffusione del coronavirus, che finisce con l’incidere sulla rapidità dell’intervento, mettendo a rischio la vita dei pazienti che si trovano a combattere con patologie tempo-dipendenti.

Quanto accaduto la notte scorsa ne è l’esempio. In Pronto Soccorso sono arrivate due persone, una colpita da emorragia cerebrale, l’altra con una crisi epilettica in corso. I medici del reparto di emergenza, dopo gli esami necessari per la diagnosi, che da dicembre vengono eseguiti senza il supporto di un neurologo, hanno chiesto di poterne mandare uno a Campobasso e uno al Neuromed. Ma il punto è che mancano precise disposizioni scritte su come gestire i pazienti neurologici. Comunicazione relativa alla logistica, che sarebbe dovuta arrivare dai vertici dell’Asrem già da tempo, ma che non c’è ancora. Per i malati neurologici o per chi viene colpito da ictus, ischemie o epilessie, dopo la stabilizzazione a Isernia si profila dunque il trasferimento a Campobasso, per effettuare la visita specialistica e per l’eventuale ricovero, sperando nella disponibilità di un posto letto. Altrimenti, altro trasferimento al ‘Neuromed’ di Pozzilli o a strutture ospedaliere di fuori regione. Ieri il caso ‘di scuola’: da Campobasso hanno preso tempo, mentre a Pozzilli – in assenza della possibilità di eseguire un tampone in loco – avrebbero evidenziato criticità in merito alla eventualità di accogliere il paziente.

Il risultato è che, dopo aver temporeggiato tutta la notte, uno dei pazienti è stato trasferito al Cardarelli solo questa mattina, mentre l’altro è ancora a Isernia, intubato, in attesa di trovare sistemazione altrove.  Eppure, la recente ordinanza n. 30 del governatore Donato Toma che ha permesso il ripristino delle attività sanitarie degli ospedali e delle strutture private accreditate, tra cui il Neuromed, impone delle precise linee guida per la Fase 2, anche per quel che concerne l’accesso in ospedale per ricovero d’urgenza, che avviene normalmente passando dal Pronto Soccorso o da un ambulatorio. In entrambi i casi, le indicazioni regionali di cui all’ordinanza del 15 maggio scorso, stabiliscono che “deve essere eseguito il tampone nasofaringeo da parte dell’Asrem e, in attesa del referto, il paziente va trattato come Covid positivo e trattenuto in un’area dedicata ai casi sospetti con sorveglianza e monitoraggio continuo, in attesa di decisione per il ricovero, sotto la responsabilità del Pronto Soccorso, salvo diversa indicazione al trasferimento in una specifica area (esempio in Terapia Intensiva, Sub-Intensiva, Radiologia, Emodinamica, Sala Operatoria, ecc.)”.

Il paziente giunto al Pronto Soccorso che debba invece essere trasferito presso una delle strutture private accreditate che partecipano alle reti per patologie tempo-dipendenti e per il quale le condizioni cliniche non consentano di attendere i risultati del tampone, “sarà trasferito presso le pertinenti strutture seguendo il percorso specifico per i pazienti Covid all’interno delle strutture stesse – si legge ancora nelle linee guida – Qualora, invece, debba essere sottoposto ad un trattamento d’emergenza, va considerato come un malato Covid e trasferito negli spazi di diagnosi/trattamento osservando tutte le cautele del caso”.

Certo è che il coronavirus, nel clima di incertezza generatosi, rischia di creare danni maggiori a chi non ce l’ha. La paura, naturalmente anche legittima, da parte delle strutture legata ai timori di diffusione del virus negli ambienti ospedalieri rallenta di fatto i tempi d’intervento, mettendo a rischio però la vita dei pazienti. E rendendo ancor più difficile la gestione da parte dei Pronto Soccorso.

 

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