Coronavirus e ‘caccia all’untore’: ecco perché i social sono un’arma a doppio taglio

In presenza di una forte tensione psichica l’uomo cerca nella maniera più rapida di orientarsi nella realtà e difendersi dal pericolo spesso ipersemplificando il mondo esterno


di Francesca Capozza*

ISERNIA. In questo periodo difficile di emergenza biopsicosociale, sono tante le emozioni che si vivono: ansia, tristezza, rabbia, disperazione, senso di smarrimento, di frustrazione e di impotenza, figlie della paura della morte, quindi del contagio e del panico di poter incontrare persone infette. Dinanzi alle sue paure ancestrali, l’individuo attiva primariamente la parte istintuale del proprio cervello, il rettiliano, la parte animale e più arcaica, che è a contatto con gli istinti primordiali e le reazioni autonome di fuga ed attacco, accendendo rapidamente l’emotività, sganciata dalla mediazione del pensiero, l’unico capace di filtrare, elaborare ed ancorare alla realtà lo sconvolgimento emozionale che avviluppa.

{loadmodule mod_banners,Banner in article google}

In presenza di una forte tensione psichica, quale quella che anima la paura atavica di essere vittime della distruzione, l’uomo cerca nella maniera più rapida di orientarsi nella realtà e difendersi dal pericolo, spesso ipersemplificando il mondo esterno con una modalità di pensiero che non tollera incertezze, ambiguità, contraddizioni, ma ricerca rapide categorizzazioni e generalizzazioni.

Sappiamo bene che i social rappresentano un’arma a doppio taglio se mal utilizzati: essi infatti costituiscono un contenitore che può anche 1) raccogliere e dare immediata, impulsiva espressione al senso di frustrazione e impotenza e alle emozioni più difficili da gestire personalmente, come la rabbia, la paura, la tristezza; 2) impedire la possibilità di rendere fruibili solo le informazioni utili ed efficaci per affrontare le situazioni a rischio, e quindi 3) amplificare ansie e terrore attraverso il rimbalzo di fake news o di pareri personali disfunzionali accettati acriticamente. Quando si cercano su facebook le notizie per comprendere ciò che accade nel mondo e a noi, ci si espone al rischio del cosiddetto contagio emotivo che è quella capacità di influenzamento psichico collettivo che avviene nei luoghi di massa, in cui il filtro del vaglio e del pensiero critico viene messo in pausa. Il rischio di contagio emotivo diviene quasi una certezza quando i social divengono, in questo periodo di standby, proprio il principale occupa-tempo, amplificando vissuti di angoscia, impotenza e rabbia.

La caccia all’untore a cui assistiamo in questi giorni, anche da parte di menti “autorevoli”, esprime da un lato come sia facile per la psiche umana liberarsi immediatamente di emozioni proprie che fanno male, proiettandole all’esterno anziché “mentalizzandole” (ovvero contenerle nella propria mente, elaborarle con autonomi processi di valutazione, verifica e decisione e gestirle nelle modalità più funzionali). E’ invece più facile ed economico, in termini di impegno personale, allontanarle da sé individuando un bersaglio su cui riversarle, un capro espiatorio da condannare. Dall’altro lato, la cyber caccia all’untore esprime come sia facile produrre un contagio psichico delle masse adunandole sotto l’egida di un’emotività istintuale in cui tutti si riconoscono ( e che si autoalimenta e rinforza in un tam tam mediatico basato solo su emozioni negative), ignorando dati e fonti ufficiali, mettendo a tacere la personale capacità di giudizio e affidandosi al “sentirsi gruppo” (antidoto al senso di solitudine particolarmente temuto nelle situazioni catastrofiche di emergenza biopsicosociale).