HomeNotizieCULTURA & SPETTACOLIVincenzo Viti e l’anima popolare isernina del primo Novecento

Vincenzo Viti e l’anima popolare isernina del primo Novecento

di Alessandra Gioielli

Vincenzo Viti nacque a Isernia il 29 luglio 1887 da Antonio e da Luisa Scafati. Si laureò in medicina ed esercitò la professione presso l’Ospedale della Pace di Napoli, città in cui visse per anni, frequentando i teatri e il Conservatorio San Pietro a Maiella, e dove conobbe Salvatore Di Giacomo di cui musicò alcune poesie.

Il 27 febbraio 1916, in piena prima guerra mondiale, Vincenzo Viti sposò, a Isernia, Amalia Allegro.

Fu drammaturgo in lingua e l’iniziatore del teatro dialettale isernino, nonché autore di operette, nonché compositore di canzoni e poesie in italiano e dialetto. Fra le operette, si ricordano: Tantalo, Essere o non essere, Il peccato veniale. Fra i canti dialettali isernini: “Ru vì!… Ru vì!…”, “Recana-ré”, “Che ce vulesse!”, “Sergnia luntana” e, soprattutto, “La Curacchiera”, una delle canzoni d’autore più note del folklore musicale isernino, scritta nel 1927.

Per la produzione teatrale di Viti, rimando al volume di Giambattista Faralli, Il teatro dialettale di Isernia (1920-1940), pubblicato nel 1992 dall’editore Marinelli. Non vanno dimenticate le pubblicazioni di alcuni suoi brevi studi di medicina: Contributo chimico-clinico sull’urea, uremia e nefrite nel saturnismo (1919); Su di un caso di nevralgia facciale sifilitica di difficile diagnosi (1919); L’acido glicuronico nelle nefriti idropigene (1920); Su di un nuovo squisitissimo metodo qualitativo e quantitativo di ricerca del lodo (1921); Su quaranta casi d’appendicite (1921); Valore della funzione epatica nel periodo tifovaccinale (1921); Su di una squisitissima reazione qualitativa del glucosio secondo Haine-Viti (1931).

Viti morì a soli 48 anni, tragicamente, a Bologna, il 19 dicembre 1935, sconfitto in modo esiziale dai «fantasmi che si agitavano nella sua mente». Nove anni dopo, in un articolo giornalistico apparso su “Rataplàn” (numero del 16 dicembre 1944), Sabino d’Acunto ne ricordò la figura di intellettuale sensibile e impegnato a dare alla sua città natale un contributo letterario che ne rappresentasse l’animo popolare.

 

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