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Siti storici chiusi: Larino muore nell’indifferenza generale

Nel mese dei Beni Culturali dal centro frentano un rinnovato appello a dispetto della negligenza e dell’ingerenza politica che impediscono l’apertura del Museo nel Parco archeologico di Villa Zappone


di Adolfo Stinziani

LARINO. In un articolo su termolionline del 26 luglio l’Associazione Larinese Ambientale denunciava, con foto esplicite, la situazione insostenibile a Larino: l’Anfiteatro era chiuso e i turisti si arrampicavano sul muro esterno che costeggia l’antico edificio. “Riteniamo che sia necessario instaurare un contatto diretto e duraturo con la Soprintendenza affinchè si consenta la riapertura e quindi la fruibilità ai cittadini e ai turisti dei siti archeologici frentani“. Queste le parole di Giuseppe Lapenna, presidente della suddetta associazione.

Lo scorso 5 maggio su isNews, a distanza di un anno si scriveva: “Dallo scorso 27 aprile alcuni luoghi simbolo del Molise e che ricadono sotto la diretta gestione del Ministero dei Beni Culturali, hanno riaperto al pubblico dopo sei mesi di chiusura per effetto delle restrizioni anti-Covid. Tra questi però non figura l’Anfiteatro Flavio di Larino, uno dei siti archeologici più importanti ma nello stesso tempo meno conosciuti del Molise“. 

Il 7 febbraio 2021 su ViaggionelMolise un mio articolo dal titolo: “Larino. Un appello decisamente apolitico all’apertura del Museo nel Parco archeologico di Villa Zappone”.

In questo mese, dedicato ai Beni Culturali, mi permetto di rinnovare il mio appello (riferito soprattutto al Museo), e di estendere in nome della comunità larinese, ma anche come cittadino attento alla cultura, i due articoli citati che denunciano solo la “punta di un iceberg”, certo anch’essa essenziale.

Quella cima che in realtà è parte di una montagna che potrebbe, ma che non è, per i motivi che riporterò, essere una ricchezza non solo per Larino ma per l’intera regione Molise. Pertanto voglio partire proprio da un piccolo esempio, da ciò che costituisce una parte di quella montagna di ricchezza che Larino possiede, e denunciare una situazione veramente insostenibile e assurda che perdura da più di trent’anni.

Verso l’anno 2000 in C.da Difesa Nuova, nota ai larinesi come località Il Casone, fu rinvenuto un piccolo frammento di una tabula bronzea che reca nella scritta una LEX PUBLICA. Lo stato frammentario di questo reperto non consente ipotesi fondate sul contenuto dell’iscrizione, soprattutto per alcune righe. La datazione però è certa, per le caratteristiche paleografiche di lingua e contenuto, tali da porla nella prima metà del I sec. a.C., in epoca repubblicana. Dietro una patina verdastra si vede chiaramente il bronzo e sulla superficie della tabula ci sono colpi accidentali, forse prodotti dalla piccozza al momento dello scavo.

Per quanto riguarda il contenuto dell’iscrizione, si potrebbe avanzare l’ipotesi di una praevaricatio, prevista anche in statuti municipali, ma è poco probabile che si tratti dello Statuto dell’antica Larino. Analizzando la scritta, nella terza e sesta riga si desume la clausola tipica della praevaricatio, come nella lex repetundarum dello Statuto di Roma, questa clausola appare due volte, in due righe, considerando anche l’integrazione dell’epigrafista T. Mommsen: De eadem re ne bis agatur.

Nella lex repetundarum si prevede la proibizione di una seconda accusa, fatta in base a leggi precedenti, salvo il caso di un’accusa di praevaricatio contemplata in specifico articolo, quindi le somiglianze ci sono con le disposizioni del frammento della tabula larinese. Il prevaricatore è l’accusatore che davanti a un tribunale tiene un comportamento con atti che favoriscono l’accusato, e tali da farlo assolvere o da ottenere una condanna. Ma la praevaricatio ricorreva anche nella lex agraria, nelle imposte fondiarie (la tabula è stata rinvenuta in una località che da sempre ha una connotazione agraria), e ancora nei processi per multa nella legge municipale. In sintesi questo frammento ha una datazione certa, tra il II e I sec. a.C., ma le poche righe pervenuteci e non ben decifrabili, non danno la certezza che si tratta di una legge municipale dell’antica Larino. 

Vero è che la tabula reca una Legge Pubblica, un reperto prezioso di un’antica civiltà, un frammento di legge scritta, da osservare, poiché dietro un atto legislativo c’è la Giustizia, una virtù altamente sociale che ha come obiettivo il riconoscimento dei diritti del cittadino, nonché il rispetto, che gli è dovuto seguendo la ragione e la legge.

Marco Tullio Cicerone (noto ai larinesi per aver difeso il concittadino Aulo Cluentio Habito nel 66 a.C.) espone il concetto della RES PUBLICA: E’ cosa del popolo e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione di un diritto e per la tutela del proprio interesse.
Il rapporto stretto tra la res publica e populus è più che chiaro nella definizione di Cicerone.

In questo periodo, ma forse da troppi anni, la res publica è nelle mani di cosiddetti politici, che dovrebbero rappresentarci ma che non sono presenti, oppure lo sono, ma non per “far niente per niente”, certo è che sono stati votati e col voto si è data loro la nostra fiducia. Tuttavia non basterebbero mille articoli per illustrare la decadenza della politica italiana, per cui mi limiterò ad affrontare il malgoverno del nostro territorio, della nostra piccola comunità frentana. E voglio parlarne anche in maniera molto personale, poichè la critica altrui, quella esterna alla mia realtà può essere facile e gratuita, e forse anche compiacente per una sorta di pseudo solidarietà.

Ho visto alternarsi nella nostra regione nell’arco del mio vissuto personale e lavorativo, svolto anche nel Parco archeologico di Villa Zappone, ben tre Soprintendenze. Ho conosciuto personalmente le più alte istituzioni, ma non sto qui a criticare la loro preparazione, non ne sono all’altezza, voglio solo riflettere sul loro “impegno” se non professionale, nei confronti dei cittadini larinesi che da oltre trent’anni chiedono semplicemente: Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.

In qualità di studioso dell’arte e di operatore nel settore della conservazione e valorizzazione dei Beni Culturali, ritengo che le Controriforme di Franceschini, successive alla Legge Ronckey, dietro la facciata della valorizzazione del bene culturale, nascondono una merceficazione della cultura, ovvero l’annullamento della tutela e valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico e il collasso degli Uffici del Mibac.

I larinesi, persone note per la loro ospitalità e diplomazia, si sono rivolti anche al politico di fresca nomina, che parrebbe determinato a trovare una soluzione per l’apertura del Museo nel Parco archeologico di Villa Zappone. In effetti è stato esposto in Parlamento il problema e si è appreso che non si sono banditi da anni e anni concorsi previsti per assumere personale, aggiungo che di recente un bando prevede l’assunzione di personale, ma solo con mansioni di custodia e vigilanza. Inoltre, pare che per riparare a tali mancanze e ritardi di bandi concorsuali, il Ministero vorrebbe far dei semplici colloqui di assunzione, un criterio molto discutibile, e credo non solo a mio avviso, vergognoso e offensivo nei confronti di persone che meritano e che sarebbero all’altezza di questi incarichi ministeriali; ma la vergogna sembra essere diventata la peculiarità della politica molisana, basta guardare l’attuale realtà sanitaria.

Quanto accade rasenta l’assurdo, non solo i cittadini larinesi rincorrono da decenni una chimera, ma rischiano, qualora torneranno in possesso del loro patrimonio archeologico con la relativa apertura di un museo, di avere personale incompetente o sufficientemente preparato a custodire le testimonianze preziose della loro città, della loro gloriosa storia. Aggiungo che a Larino nascono come funghi associazioni di ogni genere, comitati per la tutela e il diritto alla Sanità, tema più che mai attuale, e altri comitati e gruppi per aprire il desiderato e meritato Museo e poi la pandemia blocca tutto!? Io personalmente, analizzando un trentennio, che non è un lustro, non ho ancora visto, e correggetemi se sbaglio, quell’autentica e buona volontà di scrivere, di fare, di combattere per denunciare questa lentezza e negligenza, questa situazione insopportabile, questo non rispetto di quel populus di cui parlava Cicerone.

Ma adesso c’è la pandemia! E no! Anche in tempi sani e floridi economicamente mancava la volontà e l’impegno veri, soprattutto da parte delle istituzioni.
La pandemia è adesso solo un ottimo pretesto che porterà Larino e i larinesi, come è successo per la Sanità nel più completo oblio e disastro.

Il Molise è senz’altro una montagna di ricchezze da scoprire e valorizzare, ma con il suo ormai tipico adagio meridionale mo v’dem… e soprattutto con la sua politica incancrenita non può più resistere e di fatto non esiste. Verba volant scripta manent, e il piccolo frammento di tabula bronzea con la sua incisione di lex publica è arrivata fino a noi dall’età repubblica, un esempio di civiltà, un atto legislativo con cui onorare la Giustizia , così da riconoscere i diritti del cittadino e il rispetto che gli sono dovuti.

Ritengo che oggi è più che mai necessario riapprioparsi anche di un solo brandello della nostra identità, della storia , delle sue testimonianze; che nulla si può sottrarre irrimediabilmente e indebitamente alla nostra vista, ai larinesi e a tutti coloro che desiderano ammirare il nostro antico e glorioso passato.

I larinati di collina di millenni fa cominciarono a tirare fuori dalla campagna fertile il necessario per vivere e anche qualcosa in più per commerciare con le popolazioni limitrofe oggetti di prestigio: belle coppe dipinte o belle armi da difesa. I larinati di collina vanno avanti così per molto tempo e ognuno per conto proprio, fino a quando qualcuno più lungimirante, anche in vista delle scorrerie sempre più pericolose, propone un posto definitivo dove unirsi in comunità; questo posto fu l’attuale Piano San Leonardo, dove si cominciarono a costruire robuste capanne con pavimenti di ciottoli, che poi divennero case con murature in pietra, sempre più grandi e confortevoli fino a diventare edifici di pietra e calce. L’antica Larino lì si sviluppò, con le sue case povere e ricche, le strade, le ville, i templi, le terme e l’anfiteatro.

Larinum era una città aperta, con una classe dirigente intraprendente , lungimirante e senz’altro con mire espansionistiche, ma l’antica Larino, prima di tutte le popolazioni frentane, si aprì a Roma, riuscendo a conquistare con la diplomazia quella autonomia che Frentani e Sanniti difesero solo con le armi.

 

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