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Come l’episodio della pandemia virtuale in World of Warcraft può aiutarci a combattere il coronavirus

Il ‘Corrupted Blood’, accaduto nel 2005, rappresenta ancora un unicum nella storia e viene studiato a tutt’oggi per capire meglio la diffusione delle epidemie


di Pietro Ranieri

World of Warcraft, abbreviato spesso in WoW, è un gioco online sviluppato dall’azienda americana Blizzard. È l’Mmorpg (massively multiplayer online role-playing game, NdR) per definizione: un videogame in cui si può interagire online con tantissimi altri giocatori allo stesso tempo. Un vero e proprio mondo fantasy virtuale persistente, chiamato Azeroth, con la sua geografia, la sua economia, la sua politica propria, basato sull’interconnessione e sulla partecipazione – e per tanti versi non dissimile dall’idea odierna di pianeta globalizzato. Tante persone da tutto il mondo ci hanno giocato e ci giocano tuttora, come chi scrive, mentre molti altri hanno un amico che ci è venuto in contatto, o comunque ne hanno sentito parlare; altri si sono conosciuti online giocando e hanno trasportato quella relazione nella vita quotidiana, addirittura intessendo rapporti d’amicizia e d’amore duraturi. WoW ha avuto un successo tale che nel 2010 contava addirittura 12 milioni di giocatori attivi, come riporta il sito di statistiche Statista. Un vero fenomeno di costume che ormai da 15 anni rappresenta un punto di riferimento per la community di giocatori online.

Esiste un fatto straordinariamente curioso riguardo a WoW, e collegato a questi giorni di allerta coronavirus. Il dottor Eric Lofgren, in una recente intervista alla rivista Pc Gamer riportata anche dall’edizione inglese di Wired, ha infatti menzionato di essere un vecchio giocatore di WoW e di come questa sua passione l’abbia aiutato nella sua ricerca sul Covid-19. Per spiegare come, bisogna però partire da un po’ più lontano. I giocatori di vecchia data ricorderanno di certo ‘l’incidente del Corrupted Blood’: la prima vera – e unica – pandemia completamente virtuale della storia, che a settembre 2005 imperversò su World of Warcraft a causa di un bug di programmazione nel corso di un combattimento con uno dei nemici di alto livello del gioco, Hakkar. Durante la sfida, pensata per i giocatori più esperti, si veniva infettati da un’abilità chiamata, per l’appunto, ‘Corrupted Blood’: una vera e propria malattia che produceva danno fisico ai personaggi e che poteva ‘infettare’ chi si avvicinava troppo a un giocatore ‘malato’. L’infezione toccava non solo i personaggi, ma anche i loro famigli – alcune tipologie di eroi giocabili hanno infatti animali da compagnia e demoni da usare per aiutarsi in combattimento. Normalmente questa malattia era curabile da abilità speciali dei guaritori, una delle numerose classi giocabili: ma il bug impediva di guarire i famigli completamente.wow corrupted blood2

Quando i famigli inconsapevolmente infetti venivano riportati nelle ‘città’ principali, quindi, il contagio si spargeva rapidamente non solo sui giocatori di basso livello, che non essendo pronti a sopportare quell’effetto venivano uccisi quasi all’istante, ma anche sui personaggi del gioco non controllati da utenti reali. Questo si è tradotto in un diffondersi incontrollato del contagio, e infine in una vera e propria epidemia che per settimane imperversò su Azeroth, con intere zone messe in quarantena, ‘ospedali da campo’ dove i guaritori di alto livello mettevano i propri servigi a disposizione dei novellini, semplici curiosi che entravano in game e senza volerlo contribuivano a diffondere il contagio e ‘untori’ che, facendosi infettare apposta, andavano in giro volontariamente a spargere la malattia. A ottobre, la Blizzard fu costretta a mandare i server in hard reset per ‘ripulire’ tutti i personaggi infetti, e sistemò definitivamente le cose con una patch apposita qualche giorno dopo.

Questa storia rappresenta un caso unico nella storia dell’informatica. Da allora, l’incidente è stato studiato da ricercatori e scienziati per capire meglio come funzionano e come si sviluppano questi eventi nel tempo, in un ambiente del tutto sicuro per la salute: uno studio che si articola non solo a livello epidemico ma anche sociale. Fu utile per capire meglio la diffusione del virus Ebola. Il dottor Lofgren se ne occupò già nel 2007, paragonando ad esempio i giocatori di basso livello ai soggetti più suscettibili, i personaggi non giocanti a soggetti asintomatici ed altre similitudini di questo tipo.

Per quanto riguarda il Coronavirus, Lofgren ha ripreso i suoi studi precedenti e li sta adattando al presente, soprattutto sulla questione della minimizzazione, facendo riferimento a quei giocatori che intenzionalmente si facevano infettare dal Corrupted Blood oppure ai curiosi che, senza saperlo, passeggiando tranquillamente in zone di quarantena hanno contribuito alla diffusione della malattia. Lofgren spiega come “Le persone non stanno intenzionalmente facendo ammalarne altre. Ma per quanto non lo stiano facendo intenzionalmente, comportamenti che ignorano la potenziale diffusione della malattia sono abbastanza vicini all’intenzionale. Le persone dicono ‘Si, non è un gran problema, non cambierò le mie abitudini per questo, andrò comunque al concerto e poi a trovare mia nonna’. Forse sarebbe meglio evitare. Le epidemie sono un problema sociale, minimizzarne la serietà diventa una colpa”, esattamente come quella degli ‘untori virtuali’.

Nell’intervista Lofgren ammonisce infine su come la natura sia davvero brava a farci ammalare, sia per come funzionano i virus e le malattie sia per la complessità dei rapporti sociali e umani. Le nostre uniche armi davanti alla diffusione del Coronavirus al momento restano quindi rispettare le normative, lavarsi spesso le mani e ridurre al minimo le uscite. E se non l’avete mai fatto, potrebbe essere la scusa buona per provare World of Warcraft voi stessi!

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