HomeOcchi PuntatiStupri e incesti virtuali: su Telegram la vergogna quotidiana. E nessuno paga

Stupri e incesti virtuali: su Telegram la vergogna quotidiana. E nessuno paga

Un network di oltre 40mila persone dove ogni giorno si postano foto di revenge porn, ex compagne e pedopornografia. Nell’impunità più totale dei responsabili e in barba alla legge italiana


Qualcosa come 43mila iscritti e 30mila messaggi ogni giorno. Tra questi, moltissimi di questo tenore: “Come faccio a stuprare mia figlia senza farla piangere?”. Lo scrive un tale che si nasconde sotto lo pseudonimo di Joe Goldberg, come il protagonista della serie You. Precisando subito dopo che la figlia ha 9 anni. Questa è la terribile realtà nascosta in bella vista e legata al più grande network italiano di revenge porn, un’enorme chat accessibile gratuitamente e senza limitazioni a tutti. Basta crearsi un profilo su Telegram.

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Il caso è esploso in queste ore grazie alla testimonianza di una ragazza vittima del branco virtuale, che su Twitter ha denunciato pubblicamente la cosa. Nelle migliaia di messaggi presenti, come riporta Wired, c’è di tutto: foto e video di atti erotici e sessuali pubblicati senza il consenso o la consapevolezza delle vittime e utilizzati per mettere in scena in maniera sistematica l’infamia dello stupro virtuale di gruppo. Il Santo Graal di questi soggetti è la cosiddetta ‘Bibbia 5.0’, un file enorme con una quantità imbarazzante di materiale di questo genere, derivato perlopiù dai gruppi Facebook segreti delle pagine ‘La Fabbrica del Degrado’ e ‘Sesso, Droga e Pastorizia’, che una volta contavano centinaia di migliaia di utenti e sono ormai chiuse. Ma il file è rimasto in giro per il web. Le foto sono per la stragrande maggioranza postate con nome e volto visibili. Sul gruppo c’è chi le vende, con strani criteri di valore – una foto presa da Instagram ‘vale meno’ di una storia opportunamente registrata – in un putiferio di messaggi tra chi scambia “Foto con viso e Insta” della propria ex in cambio di “pari materiale”. Qualcuno disposto a cedere “nome, cell e nudi” lo si trova sempre.

Se già tutto questo non fosse abbastanza, si trovano ovunque numeri di telefono e recapiti social, richieste esplicite di “rendere la vita impossibile” alle ex partner, materiale pedopornografico, video di minori – talvolta anche otto-dodici anni – usati come merce di scambio.

“Chi ha dodicenni?” chiede qualcuno, protetto dal suo account fake non collegato a un numero di telefono. E fioccano le risposte: “Cercami”, gli risponde un altro: accordiamoci in privato, intende. “Mentre il 90% mette merda, io metto una bella tredicenne. Basta co’ sta merda straniera. Italiana 100%”, rilancia qualcuno, allegando l’immagine di un selfie allo specchio che sarebbe dovuto restare privato. Un altro chiede di voler “scambiare pedo”, un utente lo accontenta e pubblica un video che sembra girato nei bagni di una scuola media.

Tutto questo si perpetra su Telegram, che dal 19 gennaio è la casa di questo branco di mostri. La chat è già stata segnalata alle autorità. Ma poco male se verrà chiusa, come previsto dai termini di utilizzo della piattaforma russa: in cima, comodamente fissato in alto, c’è già pronto il link che reindirizza alla chat di riserva, tutta da ripopolare per ricominciare da capo lo stupro di gruppo. Senza conseguenze per i suoi partecipanti.

Non bisogna credere che questi però siano utenti generici, o profili standard del classico soggetto sessualmente frustrato. Ci sono molti adolescenti, e qualcuno scrive persino di essere un bambino – come se questo potesse rendere più credibile l’ossessione per la pedopornografia. I pochi account con nome, cognome e foto reale appartengono di norma a persone adulte e uomini di mezza età. E qui si scoperchia un mondo. Ci sono i padri di famiglia che pubblicano una foto delle figlie ricevendo i complimenti del gruppo. E rimandano poi alla chat privata per ulteriori immagini. Oppure il già citato Joe Goldberg. “Tanto avrà voglia pure lei. Ormai le ragazzine sono tutte talmente porche che si scoperebbero pure i padri”. Ha anche un altro figlio di 10 anni, scrive. Un utente è invece alla ricerca di qualcuno che faccia “un tributo di mia figlia quindicenne, possibilmente adulti…gli ho rubato il cell”. Il ‘tributo’ è un’immagine che provi l’avvenuta masturbazione su supporto fisico che riproduce la foto della vittima. In genere si usa il tablet o la carta stampata. Come per le altre richieste simili, viene puntualmente esaudito.

Tutto accade su internet, certo. “Non è davvero reale”, dirà qualcuno. Magari essendone convinto. Il problema è che le conseguenze di tutto questo non sono per niente ‘solo’ virtuali. Amnesty International riporta che in Italia almeno una donna su cinque ha subito molestie e minacce online. L’ultima vittima del branco è una professionista bresciana di 40 anni, sposata e con due figli. I suoi video sono finiti online, sempre con nome, cognome e numero di telefono. Dopo giorni di molestie e screenshot pubblicati senza consenso, la donna è stata licenziata da uno degli studi per i quali lavorava: gli utenti della comunità online avevano trovato i recapiti del posto di lavoro e bombardato di telefonate lo studio, al grido di “prima fai la troia e poi dopo ti tiri indietro”. Non si può purtroppo dire che i suoi molestatori abbiano avuto sorte simile. E questa è solo una delle tantissime storie, che magari restano mai raccontate, di questo mondo.

Qualcuno, a gran voce, sta già chiedendo la chiusura dell’applicazione Telegram. Ma il problema, ancora una volta, non è lo strumento, quanto l’uso che se ne fa. Pur esistendo già in Italia una legge contro il revenge porn, che rappresenta sicuramente uno strumento giuridico prezioso, c’è infatti una questione puramente culturale dietro questi comportamenti deplorevoli. Qualcosa sul quale bisognerebbe riflettere con urgenza. Prima di essere i prossimi a capitarci.

Pietro Ranieri

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