HomeOcchi PuntatiI numeri della strage silenziosa dei malati 'No Covid' negli ospedali

I numeri della strage silenziosa dei malati ‘No Covid’ negli ospedali

Sono coloro che non hanno ricevuto cure adeguate  o hanno vissuto nel timore di restare contagiati all’interno degli ospedali, e spesso ci hanno rimesso la vita. E’ un dramma di cui già ci siamo occupati nei giorni scorsi e sempre più con il lento ma graduale reflusso del Covid iniziano ad emergere i dati di questa strage nascosta, che grida vendetta. Dopo i medici del Centro Cardiologico Monzino di Milano e l’associazione Arca, un’altra conferma dell’impennata di morti per infarto durante il picco dell’emergenza Covid arriva dalla Società Italiana di Cardiologia


In uno studio di prossima pubblicazione, come riporta un articolo a firma di Andrea Capocci pubblicato su “Il Manifesto”,  la società italiana di cardiologia ha esaminato la mortalità legata all’infarto durante l’emergenza Covid-19 in 54 ospedali distribuiti su tutto il territorio italiano, a confronto con lo stesso periodo del 2019. Lo studio sarà pubblicato a breve sullo European Heart Journal ma lo riassume Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia e coordinatore dello studio.

I ricercatori hanno esaminato la settimana 12-19 marzo, quella in cui si è verificato il picco massimo dei contagi in Italia. “Il numero di accessi agli ospedali per infarti nel periodo preso in considerazione si è dimezzato tra il 2019 e il 2020″, spiega Indolfi confermando statistiche analoghe rilevate negli ospedali del nord. “La mortalità osservata nei pazienti giunti in ospedale invece è più che triplicata, passando dal 2,8% al 9,7%”. I due dati non sono in contraddizione, ma suggeriscono una spiegazione: molte persone con infarto in corso non si sono recate in ospedale e quelle che lo hanno fatto ci sono arrivate in ritardo, e quindi in condizioni più gravi. “Lo abbiamo verificato anche sulla base del tempo che trascorre tra l’inizio dei sintomi e l’intervento in angioplastica, che è aumentato di oltre il 30%” continua Indolfi. Il risultato è che in termini assoluti nel periodo preso in considerazione i morti di infarto negli ospedali sono quasi raddoppiati, anche se i pazienti da curare sono stati di meno.

La prima causa del ritardo, sottolinea il medico, “è che molte persone hanno avuto paura di andare in ospedale per paura di contrarre il Covid-19. C’è un dato interessante: abbiamo osservato lo stesso calo sia negli ospedali del nord, effettivamente oberati per il Covid-19, che in quelli del sud dove i posti liberi in ospedale c’erano”. Alla diffidenza dei pazienti si è sommata la scarsa tenuta della sanità. “Nel periodo dell’emergenza tutto il servizio sanitario è stato spostato sul Covid-19 e le risorse per le altre patologie sono state ridotte. Il mio reparto di cardiologia, ad esempio, è stato dedicato al Covid-19. Le autoambulanze sono occupate, il medico di base non si trova, gli ambulatori dei cardiologi sono chiusi. Si è perso il contatto con il medico, che spesso è quello che consiglia di chiamare il 118 e andare in ospedale”. 

Il probelma non si esaurisce con la fine dell’emergenza. Nella fase due, il governo ha promesso di rafforzare la sorveglianza anti-Covid-19 per evitare nuovi picchi epidemici come quello registrato a marzo, ma la coperta è corta: se si spostano risorse nella pur giusta lotta alla pandemia, rischiano di rimanere scoperti altri servizi sanitari, e le malattie diverse dal Covid-19 non stanno ad aspettare. “Serve un’iniziativa da parte della politica per rafforzare tutto il servizio sanitario. Bisogna ripristinare i servizi di emergenza. Riaprire gli ambulatori di cardiologia“, dice Indolfi, ribadendo peraltro quello che hanno sostenuto anche i medici cardiologi dell’associazione Arca Molise. “Da questa tragedia la politica deve trarre un insegnamento. Negli ultimi dieci anni la sanità è stata abbandonata a se stessa. Medici e infermieri sono pagati poco, non si assumono nuovi medici e mancano i posti nelle scuole di specializzazione dove si formano”.

Oltre ad essere poche, le risorse vanno anche sprecate. “Un mucchio di soldi si perdono a causa della cosiddetta medicina difensiva: prescriviamo esami inutili e costosi per paura di essere accusati di inerzia dai pazienti. Queste risorse potevano essere utilizzate per costruire ospedali migliori al sud e garantire un servizio sanitario davvero universale”. 

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