Lo tsunami del Covid sulle liste di attesa: si rischia una catastrofe sanitaria

Senza investimenti immediati a beneficio del sistema pubblico, si rischia una catastrofe. Questa la previsione che scaturisce dal rapporto del Crems, il prestigioso Centro di ricerca dell’Università Carlo Cattaneo, analizzato da Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il Corsera. Il blocco delle prestazioni  per effettode ll’emergenza coronavirus porterà a un sostanziale dimezzamento delle visite cardiologiche e al netto calo di esami in laboratorio e ricoveri, con i tempi destinati a raddoppiare


Ci siamo più volti occupati di come l’emergenza Coronavirus abbia finito per causare il blocco delle prestazioni sanitarie ordinarie erogate nelle strutture ospedaliere e poliambulatoriali specialistiche, nonché dei ricoveri, ad eccezioni di quelli urgenti.

In una inchiesta a firma congiunta di Milena Gabanelli e Simona Ravizza sul Corriere della Sera, si fa riferimento al rapporto stilato dal Centro di ricerca in economia e management in Sanità (Crems) dell’università Carlo Cattaneo, che stima per Dataroom anche di quanto potrebbero allungarsi le liste d’attesa in assenza di provvedimenti urgenti e mirati. Parlando di numeri, fino ad oggi sono già saltati 12,5 milioni di esami diagnostici, 20,4 milioni di analisi del sangue, 13,9 visite specialistiche e oltre un milione di ricoveri.

Oggi per il mantenimento delle distanze s’impone la prenotazione: gli assembramenti in attesa del prelievo del sangue o della visita specialistica non sono più ammissibili. La riprogrammazione dell’attività comporta necessariamente una diminuzione delle visite, della diagnostica e dei ricoveri. 

In questo scenario è inevitabile un allungamento delle liste di attesa.

Il Crems ha rilevato che le visite cardiologiche, stimate in oltre 17 milioni all’anno, si ridurranno del 54%; un calo analogo subiranno anche le visite dermatologiche (-50%); le gastroenterologiche da 3,2 a 2 (-39%); le oculistiche da 10,7 a 8,3 (-23%); le ortopediche da 7,1 a 4,7 (-32%). 

Le ripercussioni ci saranno anche sulla prevenzione del rischio tumori. Infatti se si continua a rimandare la gastroscopia o la mammografia, che potrebbero avere un esito oncologico, cresceranno inevitabilmente i costi umani e sanitari.

Previsioni negative anche per quanto riguarda gli esami in laboratorio: i prelievi di sangue sono 90,8 milioni in un anno e potranno scendere a 46 milioni (-49%). Gli esami diagnostici (Rx, Tac, Rm, scintigrafia, ecografia, EcG, gastroscopia, colonscopia, artroscopia, audiometria, ecc.) sono quasi 56 milioni: il crollo previsto è a 35 milioni (-37%). Si si compie una proiezione di qui a dicembre, rischiano di saltare complessivamente quasi 51 milioni di prestazioni sanitarie (10 milioni di esami diagnostici, 24 milioni di analisi di laboratorio, 16,9 milioni di visite specialistiche), ossia una su 4.

Il sanitario nazionale deve garantire una prestazione in 72 ore se urgente, entro 10 giorni se c’è il codice «breve», entro 30 giorni per una visita, 60 per un esame se è differibile ed entro 180 se è programmata. In realtà, secondo i dati di Altroconsumo, i tempi medi di attesa erano già prima più lunghi: 66 giorni per una visita dermatologica, 60 per gastroenterolgia, 57 cardiologia, 49 urologia.

I calcoli del Crems dicono che, sempre in assenza di provvedimenti mirati, la durata della lista di attesa d’ora in avanti sarà dai 3 ai 4,1 mesi. Di fatto, dunque, il tempo necessario per ottenere una prestazione è destinato a raddoppiare. Per gli esami radiologici, sempre usando i dati di Altroconsumo, si registrava un tempo medio di attesa di 42 giorni. Nei prossimi mesi oggi diventerà tra i 3,3 e 4,7 mesi. Di fatto, si triplica. Ci sarà certamente un’impennata di pazienti che si rivolgeranno all’attività privata, ma non basterà dissanguarsi per ottenere prestazioni in tempi rapidi. I luoghi sono sempre gli stessi e le nuove regole di sicurezza non cambiano andando a pagamento.

Cambiamenti importanti ci saranno anche per i ricoveri: il primo giorno di ammissione e l’ultimo va eseguito il monitoraggio anti Covid 19, e questo è destinato ad allungare i tempi di degenza. I letti nei reparti devono essere distanziati, dunque il loro numero diminuirà. In più continueranno a essere presenti i posti-letto per pazienti con il virus. La conseguenza, tradotta in numeri dal Crems, è una riduzione di 641 mila ricoveri su 6,2 milioni l’anno (513 mila fino a dicembre).

L’ impatto sulla salute si scoprirà nel tempo, mentre quello sulle casse degli ospedali è già calcolabile: meno 7,2 miliardi che equivale a una contrazione del budget del 16%. In compenso dovranno sostenere costi maggiori: quelli dei tamponi, dei dispositivi di protezione per il personale e i pazienti, quello dello smaltimento dei rifiuti speciali, quelli dovuti alla crescita del consumo di ossigeno, le spese per le sanificazioni e per l’aumento dei lavaggi di lenzuola e camici. A ciò va sommata la voce di mancata produzione per ricoveri causata dalla comparsa di una patologia prima inesistente.

Lasciando le cose come stanno si prevedono ricadute catastrofiche. Un problema che riguarda tutti gli ospedali d’Europa, ma in particolare d’Italia, dove la sanità pubblica è di fatto equiparata alla sanità privata accreditata. La differenza però è nota: la seconda sceglie le prestazioni più remunerative, mentre il pubblico si accolla tutto il resto, anche la zavorra dell’eccesso burocratico. In questos cenario diventa necessario allungare gli orari delle prestazioni, assumere subito personale sanitario; fare investimenti mirati in telemedicina; potenziare la rete di assistenza sul territorio, evitando le prestazioni inutili, che allungano le liste d’attesa a danno di chi ne ha realmente bisogno.

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