Il ponte di Genova parla molisano: intervista all’ingegner Petti

Lui e il collega Massimo Mascia, entrambi isernini, hanno lavorato all’importante infrastruttura inaugurata a tempo di record il 3 agosto


di Camillo Pizzi

ISERNIA. É anche opera di molisani il nuovo Viadotto Genova San Giorgio, meglio conosciuto come Ponte San Giorgio, che ha sostituito il purtroppo tristemente famoso Ponte Morandi crollato il 14 agosto 2018, causando ben 43 vittime.

All’importante infrastruttura, infatti, realizzata secondo il progetto dell’architetto (e senatore a vita) Renzo Piano, inaugurata a tempo di record lo scorso 3 agosto, hanno lavorato due ingegneri isernini, Ferdinando Petti, in qualità di responsabile della programmazione e verifica delle attività di fornitura e assemblaggio delle strutture in acciaio a supporto del Project Manager e della direzione dei lavori, nonché supporto tecnico-organizzativo al direttore di cantiere ed ai capicantiere, e Massimo Mascia, quale responsabile tecnico della consortile Pergenova per le strutture in calcestruzzo.

Petti, laureatosi in Ingegneria Meccanica con specializzazione in fabbricazione e montaggio di strutture in acciaio (quali ponti, stadi, aeroporti, grattacieli) e gestione dei contratti per la fornitura e posa di strutture in acciaio per “progetti unici”, ha alle spalle già diverse ed importanti esperienze sia in Italia (tra le tante, oltre a diversi viadotti lungo la penisola, l’Allianz Stadium e il Grattacielo Intesa SanPaolo di Torino e la nuova stazione Alta Velocità di Bologna Centrale), sia all’estero (la VTB Arena – Central Stadium Dynamo di Mosca, il nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico e il NLMK Multifunctional Building a Lipetsk, sempre in Russia. Attualmente è responsabile, per la Rizzani de Eccher Spa, del gruppo di lavoro che si occupa di strutture, facciate e coperture nei paesi dell’area CIS, tanto che lo abbiamo raggiunto proprio mentre è in procinto di partire per Mosca per far raccontare a Isnews la sua esperienza a Genova, partendo dalle difficoltà incontrate e non lesinando qualche “puntualizzazione senza peli sulla lingua”.

“Sono state molteplici e, alcune, impossibili da prevedere nelle fasi iniziali. I problemi relativi alla fabbricazione, in tempi record, delle 17mila tonnellate di acciaio del viadotto, e di alcune migliaia di tonnellate aggiuntive di opere accessorie, sono stati risolti con il supporto delle Officine Navali della Fincantieri che però non è stata in grado di fornire analogo supporto alle attività di saldatura e montaggio in cantiere a causa delle diverse caratteristiche delle lavorazioni navali rispetto a quelle civili e delle differenti condizioni operative. Sembrerà strano – spiega l’ingegnere isernino – ma uno dei problemi principali, rimasto parzialmente irrisolto fino al termine delle lavorazioni, è stato quello di reperire sul mercato maestranze, soprattutto saldatori e carpentieri-montatori, con le qualifiche e l’esperienza necessaria per l’esecuzione della saldatura in opera e dei montaggi degli elementi costituenti l’impalcato metallico. Le difficoltà operative legate alla carenza di personale qualificato sono state esasperate dalle condizioni metereologiche particolarmente avverse che hanno causato allagamenti del cantiere e, in una occasione, anche l’allagamento di una delle officine di produzione adiacente al cantiere. Condizioni metereologiche così estreme, che hanno condizionato il trasporto via mare degli elementi del viadotto prodotti nelle officine Fincantieri di Castellammare di Stabia e causato fermi cantiere così frequenti, non potevano essere previste. Inoltre, la scelta di utilizzare un programma lavori denominato Best Option per il monitoraggio delle attività e la stima della data di completamento, ha esasperato i rapporti, già tesi, tra le imprese coinvolte nei lavori e la Struttura Commissariale. Anche il trasporto degli elementi principali del viadotto dalla banchina al cantiere ha generato diversi problemi dovuti alla presenza di cantieri stradali lungo il tragitto dei convogli speciali ed alla necessità di chiudere al traffico tutte le strade interessate dai trasporti, con ulteriore aggravio alla circolazione locale già fortemente compromessa a causa del crollo del Ponte Morandi. Comunque, il supporto tecnico-logistico della Struttura Commissariale è stato fondamentale per risolvere tutte le problematiche legate ai trasporti ed alle chiusure al traffico delle strade interessate dalle attività in cantiere. Però, al contempo, le soffocanti e costanti pressioni della stessa Struttura Commissariale, ed in particolare del Commissario nonché sindaco Marco Bucci, non hanno sicuramente contribuito a mantenere il giusto equilibrio tra la tensione positiva, necessaria per evitare i ritardi tipici delle opere pubbliche Italiane, e la tranquillità necessaria per analizzare ed affrontare tutte le difficoltà tecnico-organizzative proprie di un’opera unica, evitando inevitabili ritardi. La ciliegina sulla torta, poi, è stata l’emergenza Covid e le difficoltà operative aggiuntive legate alla gestione di attività di cantiere in cui è impossibile mantenere il distanziamento sociale. La società consortile Pergenova, costituita da Fincantieri Infrastructure e Salini Impregilo, responsabile della realizzazione del viadotto, ha messo in atto tutte le misure per consentire il prosieguo delle lavorazioni nel rispetto delle disposizioni sanitarie. Da parte della politica invece tante dichiarazioni di facciata decisamente contraddette dai fatti in occasione del primo ed unico contagio rilevato tra gli operatori in cantiere”.

petti 1Ma come hanno vissuto Genova e i genovesi il dramma del crollo e poi la ricostruzione del ponte?
“Con grande dignità! Il dolore dei genovesi si percepiva nettamente non solo nelle aree interessate dal crollo ma nell’intera città. Nei quartieri interessati dal crollo e nelle aree limitrofe al cantiere si avvertiva ancora il dramma delle famiglie delle 43 vittime e di tutti quanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie abitazioni insieme ai ricordi di una vita. Era come se le strutture rimaste in piedi, ormai abbandonate, avessero assorbito il dolore dei morti ed il dramma della gente. Una sensazione da far letteralmente accapponare la pelle. Nonostante tutto questo dolore la partecipazione dei genovesi alla ricostruzione è stata molto sentita, ma allo stesso tempo discreta ed il ricordo dell’accoglienza che i genovesi hanno riservato alle persone che hanno, a vario titolo, contribuito alla ricostruzione rimarrà per sempre nei miei ricordi. Lavorare h24 e 7 giorni su 7 non è stato semplice, ma gli sguardi ed i gesti dei genovesi ci hanno donato quella carica in più che ci ha permesso di superare la fatica fisica e mentale”.

Per cui il peso di dover contribuire alla realizzazione di un’opera sotto gli occhi di una nazione intera non è stato leggero…
“Assolutamente. Ciò che accadeva in cantiere era riportato, sin nei minimi dettagli, su tutti i rotocalchi e su tutti i notiziari locali e nazionali, e commentato da addetti al settore e non. È stato il “grande fratello” delle costruzioni con tutto quanto di positivo e negativo può derivare dall’esasperazione dell’attenzione mediatica che è stata a tratti asfissiante. D’altro canto, l’interesse dimostrato da tutti gli italiani ci ha chiaramente ed inequivocabilmente trasmesso l’affetto e l’incitamento di una nazione intera e mi ha fatto riscoprire una identità ed un orgoglio nazionale che non provavo, così vivo, da quando, ancora giovane, ho frequentato il corso da Ufficiali di complemento presso l’Accademia Navale di Livorno”

Quanto ci teneva Renzo Piano alla realizzazione di questa opera?
“Ho incontrato l’architetto Piano in occasione delle sue visite in cantiere ed ho avuto l’onore di accogliere ed accompagnare lui, la moglie e due ospiti in occasione di una visita domenicale. Avevo già lavorato su un progetto del nostro illustre connazionale e lo avevo già incontrato in diverse occasioni tra il 2011 ed il 2014 durante le visite al cantiere del grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino, ma le sensazioni che ho provato durante le visite al nuovo ponte sul Polcevera sono state completamente diverse. Ho avuto l’impressione che tenesse a questa opera in modo molto particolare ed il constatare che il risultato che stavamo ottenendo con grandi sacrifici era conforme alla sua idea progettuale è stato motivo di immensa soddisfazione”.

Infine non poteva mancare, al termine di una lunga chiacchierata, un parere sulla situazione delle infrastrutture in Italia e su come si lavora nel Belpaese rispetto all’estero.
“Non bisogna essere tecnici per capire che la situazione in Italia, con crollo di ponti, cedimenti dei rivestimenti delle gallerie e degrado generalizzato delle infrastrutture che sono rimaste per troppi anni senza manutenzione, non è degna di un paese civile. Va bene che l’Italia è “terra di santi, poeti, navigatori” e che gli italiani non amano prendersi troppo sul serio ma quando è troppo è troppo! Per quanto riguarda il modo di lavorare, purtroppo, da italiano, devo riconoscere che qui si lavora male. Molti imprenditori e dirigenti Italiani non hanno compreso l’importanza di una corretta gestione delle risorse umane e l’enorme valore aggiunto fornito dal personale in termini di competenza e Know-how. L’esperienza, la conoscenza e la memoria storica delle piccole e medie aziende italiane è detenuta da quanti, negli anni e senza risparmio, hanno dedicato le loro energie al lavoro ed alle aziende. La crisi economica che ha investito il nostro Paese ha completamento distrutto gli equilibri tra domanda ed offerta riducendo drasticamente gli utili delle aziende che hanno reagito riducendo, oltre misura, il personale non operativo, quello amministrativo, tecnico, logistico il cui costo viene considerato tra i costi fissi, e tagliando, fino ad azzerarli, tutti i costi per la formazione del personale. Questa apparente ottimizzazione dei costi si traduce in un sovraccarico di lavoro che alla lunga porta inefficienza e disattenzioni tali da annullare tutti i vantaggi economici dovuti alla riduzione del personale. Inoltre, l’ampio ricorso al lavoro interinale ed ai contratti di consulenza specializzata, si traducono immancabilmente in perdita del senso di appartenenza all’azienda ed in perdita di Know-how con conseguenze economiche che, a mio avviso, sono disastrose”.

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