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Modello Rousseau per il voto del futuro: il progetto da 45 milioni di cui nessuno sa nulla

Esiste un comitato che sta valutando come voteremo in futuro e se le operazioni si faranno o meno in via telematica: non se ne sapeva nulla fino a settembre, ma il governo ci ha investito somme ingenti. Un’idea che nel resto del mondo è ritenuta fallimentare perché vulnerabile e manipolabile, ma che piace molto a Casaleggio & Co. Lo scoop di Nicola Biondo su Linkiesta


ROMA. Il futuro del voto in Italia sarà come Rousseau: elettronico, telematico, smart, ma anche a rischio hacking e manipolazioni esterne da aziende private. Non è una teoria complottista né un’accusa infondata: esiste infatti un comitato che sta valutando come voteremo in futuro e se si potrà adottare il voto elettronico come nuovo sistema. Se non ne sapevate nulla, non preoccupatevi: fino allo scorso settembre nessuno ne conosceva l’esistenza, la composizione e il funzionamento. Nemmeno la sicurezza nazionale italiana è stata coinvolta: lo stesso Copasir è all’oscuro di queste attività.

A rivelarlo è Nicola Biondo su Linkiesta: la scoperta è stata fatta in seguito a un accesso pubblico agli atti richiesto da Fabio Pietrosanti, presidente di Hermes. L’organizzazione si occupa di diritti digitali e ha preso iniziativa da un’interrogazione della parlamentare di FI Fucsia Nissoli, rispondendo alla quale – l’11 settembre – il ministero dell’Interno ha rivelato l’esistenza di una “commissione ad hoc sul voto elettronico nella circoscrizione estera”.

“Linkiesta ha potuto visionare i documenti prodotti dal Foia – Freedom of Information Act, normativa introdotta con decreto legislativo n. 97 del 2016 che è parte integrante del processo di riforma della pubblica amministrazione, definito dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 – provenienti dal Ministero dell’Interno. I componenti sono stati scelti dai ministeri degli Esteri, degli Interni e Giustizia e dal Dipartimento Innovazione guidato da Paola Pisano. Il mandato è chiaro, lo spiega così una nota del Viminale. Il comitato deve predisporre linee guida ‘per la sperimentazione del voto elettronico… attività pregiudiziale all’adozione di qualsiasi iniziativa di sperimentazione… garantendo la sicurezza informatica’”, riporta Biondo.

Nella commissione, composta da 13 persone coordinate dal Direttore centrale dei servizi elettorali Caterina Amato, ci sono diplomatici, funzionari degli Esteri e della Pubblica sicurezza, avvocati, due viceprefetti e un ingegnere informatico, Paolo De Carlo. Tra questi anche Ivano Gabrielli, capo del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche, un’unità specializzata della Polizia Postale. Su cosa faccia esattamente il comitato regna la più assoluta ignoranza: non ci sono verbali delle riunioni, non si è a conoscenza se siano previste audizioni e contributi esterni. Lo chiarisce espressamente la nota del Viminale nell’accesso agli atti. Le uniche cosa certe, riporta sempre Biondo, sono che l’organo si è riunito tre volte in due mesi e che l’ultima sessione era prevista il 19 novembre.

La questione solleva non pochi dubbi. Sul voto elettronico si discute da molto, non solo in Italia; in Germania, ad esempio, è stato bandito nel 2009. Anche la Svizzera lo ha vietato nel 2019: nel 2017 l’università di Zurigo ha dimostrato come il voto elettronico non aumenta la partecipazione elettorale, e l’intrinseca insicurezza del sistema ha portato anche la Norvegia, dopo una sperimentazione nel 2011, ad abbandonare definitivamente il progetto nel 2013. Anche l’Olanda, dal 2006, ha abbandonato il voto elettronico, confermando la decisione nel 2017. La Francia di recente ha fatto partire una sperimentazione, tra molte critiche, dopo il parere negativo dell’Agenzia nazionale per la cybersicurezza. “Il voto elettronico in Europa rimane prassi solo nella piccola Estonia, nazione con meno votanti del Comune di Milano”, scrive Biondo. Ma in tutti questi Paesi i comitati agivano pubblicamente, con verbali accessibili. Gli Usa trasmettevano gli incontri in diretta, e in Francia era previsto il coinvolgimento degli apparati di sicurezza: tutto il contrario di quanto sta succedendo in Italia, insomma. Proprio da quelli che promettevano massima trasparenza e di “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, tra l’altro.

Il voto elettronico è manipolabile con relativa semplicità: le sperimentazioni condotte altrove e poi abbandonate lo dimostrano, e viene sottolineato anche dall’Ente europeo per la sicurezza informatica come esso sia fortemente soggetto ad attacchi informatici. Linkiesta riporta le dichiarazioni in tal senso di Stefano Zanero, professore del Politecnico di Milano e tra i massimi esperti del settore: “Le sperimentazioni sono fondamentali per tecnologie nuove, di cui non si comprendono rischi ed opportunità. Nel caso del voto via internet, invece, sono ben chiari i rischi, e le sperimentazioni fatte nel mondo si sono concluse, tutte, con dei colossali fallimenti. Sarebbe opportuno pensare a soluzioni realistiche (ad esempio organizzando il voto in appositi seggi anche all’estero), invece di seguire strade che già si sono dimostrate fallimentari”. Un altro nodo centrale sarebbe il riconteggio dei voti online: se fosse possibile, significherebbe che il voto è tracciabile, quindi si perderebbe il diritto alla segretezza. L’intero processo sarebbe a rischio sabotaggio.

“Non sfugge che i fautori più accaniti del voto online siano gli eletti dell’imprenditore milanese (Casaleggio, NdR), scelti su Rousseau, una piattaforma privata più volte hackerata – scrive Biondo – Secondo Casaleggio il voto elettronico deve essere basato sulla tecnologia blockchain, al punto da annunciare il suo prodotto software chiamato Terminus a fine agosto 2020. Una sciocchezza secondo un recentissimo report di ricerca del Mit datato 16 novembre, secondo il quale la blockchain non abbia alcuna utilità nella integrità dei sistemi di voto remoto, prendendo in considerazione ed analizzando la breve e contestatissima sperimentazione effettuata in Iowa: il voto remoto, dicono gli esperti del Mit, viene compromesso prima del salvataggio dei dati su di una eventuale catena a blocchi”.

Il governo italiano però crede così tanto in questa nuova tecnologia da averci investito 45 milioni di euro in tre anni, per lavorare alle strategie definite dalle commissioni di esperti del ministero dello Sviluppo economico: in altre parole, Luigi Di Maio, con la partecipazione di Vincenzo Di Nicola. Co-autore, con Davide Casaleggio, del sistema di voto elettronico su blockchain Terminus prima citato. Dunque, tra riduzione del numero dei parlamentari, nuova legge elettorale e lo spettro di un nuovo – e meno sicuro – sistema di voto in stile Rousseau, per la democrazia elettiva in Italia si prospettano tempi molto diversi. Migliori, o peggiori, solo il tempo lo dirà.

Pierre

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