Le gang: quando l’adolescenza si fa violenta

L’uso della forza come unica modalità per liberarsi dall’angoscia legata al fisiologico disagio insito nel percorso di crescita. Il gruppo si trasforma in banda assumendo un’organizzazione stabile e gerarchizzata


di R. Francesca Capozza*

Lunedì 11 Gennaio. Lucca. Al 113 arrivano concitate segnalazioni di numerosi giovani con bastoni. Lo scenario che le forze dell’ordine trovano, in via delle Piagge, è quello degno di un film di Kubrick: orde di adolescenti accecate dalla violenza in un “regolamento di conti” tra bande, nello specifico la Gang di Porta San Pietro e quella di Sant’Alessio. Tra i futili motivi finora individuati come pretesto della rissa, screzi per ragazze e insulti fra loro. Bastoni, botte e un accoltellamento denunciato che ha portato in ospedale un 15enne sottoposto a un delicato intervento chirurgico.

francesca capozzaUn grave episodio che si inserisce in un contesto di esasperata rivalità tra bande di giovanissimi che si “spartiscono” le zone della città. “Gli identificati sono tutti italiani, vivono con i genitori e non emergono particolari motivi di disagio sociale. Tutti frequentano scuole superiori”, riportano le testate giornalistiche locali. Dietro il fenomeno delle baby gang e delle loro rivalità, c’è ovviamente ben altro che i “futili motivi”. In adolescenza è cruciale il ruolo del gruppo di coetanei che permette l’emancipazione psicologica dalla famiglia d’origine e di orientare il proprio agire in senso maturativo tramite la creazione di nuovi legami e la condivisione di nuove regole di comportamento. Il gruppo fornisce uno scambio reciproco di cura e sostegno in una fase delicata in cui il giovane affronta il processo di crescita, di distacco dalle modalità infantili, nonché il lutto per il declino dell’onnipotenza infantile e dell’idealizzazione genitoriale, per intraprendere la strada e i compiti evolutivi che portano all’età adulta. Il gruppo è il naturale teatro del passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Ma può anche trasformarsi in banda e divenire il luogo in cui estendere la propria dipendenza infantile: il sé dell’adolescente rischia di perdersi all’interno di dinamiche indifferenziate e simbiotiche, anziché perseguire obiettivi di affermazione personale nel mondo sociale. Il gruppo allora ostacola l’evoluzione, esacerbando le difficoltà del singolo e favorendo dinamiche fusionali in cui permane l’onnipotenza e l’elaborazione del lutto viene elusa. Il giovane non può coltivare uno spazio di pensiero personale e affermare la propria diversità. Il comportamento deviante viene scelto come tentativo di adattamento alle difficoltà evolutive incontrate. Il gruppo non investe sul proprio futuro, ma si sclerotizza sul presente cercando l’affermazione di sé con l’uso della forza che, come acting-out, rappresenta l’unica modalità per liberarsi dall’angoscia legata al fisiologico disagio insito nel percorso di crescita. Il gruppo si trasforma in banda assumendo un’organizzazione stabile e gerarchizzata. La gang compensa i conflitti e placa le paure dei singoli membri attraverso il coinvolgimento nel gruppo, ove esiste un capo, una ideologia, nonché, nelle band dedite al crimine, la possibilità di avere denaro con cui soddisfare le proprie necessità, non solo quelle primarie, e i propri desideri. Si concretizza quindi il fenomeno della baby gang maggiormente diffuso nei contesti urbani e riguarda ragazzi dai 13 ai 18 anni. Si tratta di piccole bande che mettono in atto un’enorme varietà di comportamenti devianti, che vanno da violenze generalizzate a forme di racket, estorsioni, rapine, ecc. Secondo il panorama scientifico-criminologico le origini della baby gang dipendono da fattori culturali quali la vita familiare, i valori e l’ambiente in cui vivono, il sistema scolastico, considerando altresì come la gang  possa costituire una scelta volontaria del giovane in quanto modalità di guadagno in termini economici e di autostima.

Gli aggressori sono sempre in gruppo e normalmente riconoscibili dal modo di vestire e dall’atteggiamento. Sono ragazzi che nel “branco” trovano la sicurezza, l’affetto e il riconoscimento che sentono di non ricevere da altri contesti. Le caratteristiche specifiche della baby gang sono: 1) presenza di un capo, un leader che guida i componenti e ne indirizza l’azione, un capo branco che domina i gregari; 2) presenza di una gerarchia interna, con i vice del capo e vari gradi di importanza all’interno dell’organizzazione; 3) controllo di un territorio, generalmente quello del quartiere o rione ove la banda è nata; 4) stabilità nel tempo, data dalla coesione interna e dal senso di appartenenza al gruppo; 5) presenza di propri simboli caratterizzanti, quali i linguaggi, l’abbigliamento o i tatuaggi; 6) rivalità e scontri con le gang rivali. I fattori psicosociali statisticamente più ricorrenti sono rappresentati da inadeguatezza della vita familiare (noncuranza, repressione e disinteresse); carenza o assenza di sostegni affettivi adeguati e di orientamento socio-educativo; fallimento dei valori; sistema scolastico che non riesce a includere il giovane; mancanza di una guida adeguata nelle attività del tempo libero; vita disorganizzata e ambienti degradati; situazioni di separazioni conflittuali, con rifiuto affettivo o trascuratezza da parte dei genitori. La mancanza d’affetto e le privazioni emozionali precoci possono generare così atteggiamenti di antisocialità, aggressività e disadattamento. I ragazzi del gruppo spesso non hanno cognizione della gravità o illegittimità giuridica dei comportamenti ed adottano più o meno inconsciamente numerose tecniche di negazione del conflitto con la coscienza morale, come ad es, la diffusione di responsabilità all’interno del gruppo, il richiamo a ideali superiori, la negazione della vittima, la minimizzazione del danno.

*Criminologa Psicologa Psicoterapeuta