Alzheimer, la guerra si può vincere: scoperto il farmaco che rallenta la malattia

Dopo 20 anni di ricerche. Ma restano da valutare i possibili effetti collaterali, ancora al vaglio degli esperti


ROMA. Un bagliore di speranza per i malati di Alzheimer: dopo un’odissea di 20 anni, è stato finalmente scoperto un farmaco in grado di combattere il morbo di Alzheimer.
La notizia, riportata da ‘Il Messaggero’, è giunta in seguito all’annuncio da parte della Fda (Food & drug administration) del via libera alla produzione di un nuovo farmaco.
Fondamentale primo passo nella vittoria contro la malattia, grazie al nuovo farmaco ‘Aducanumab’, che incrementa le speranze di milioni di pazienti nel mondo, dopo due decenni in cui la luce non sembrava arrivare.

Eppure, nonostante l’ente federale abbia richiesto un secondo test clinico, il medicinale, messo a punto da Biogen, sembra essere efficace contro il declino cognitivo della malattia, rallentandone il decorso. Da segnalare, tuttavia, l’opposizione della commissione indipendente di esperti dell’agenzia e di altri esperti, secondo i quali, non ci sono prove sufficienti a conferma dell’efficacia del farmaco.

L’Alzheimer, sindrome neurodegenerativa che comporta una graduale e irreversibile perdita delle funzioni cognitive, sarebbe combattuto per mezzo di un’iniezione mensile per via endovenosa. Tale approccio terapeutico contribuirebbe a rallentare il declino cognitivo dei pazienti che si trovano allo stato iniziale della malattia.
L’innovazione consiste nella modalità di azione di Aducanumab, che non agirebbe sui sintomi, bensì aggredirebbe il decorso della malattia.
La sensazionalità della scoperta è da rintracciare nei dati degli ultimi anni: nel 2018 sono stati registrati 400 fallimenti di test clinici sull’uomo di potenziali terapie.
Fallimenti questi che, anche negli anni successivi, hanno spinto diverse multinazionali ad abbandonare la ricerca nel settore.
Persino Aducanumab in una fase iniziale si era dimostrato fallimentare, riscontro smentito da ulteriori approfondimenti successivi,che ne hanno dimostrato l’efficacia durante la fase iniziale del morbo.

In Italia, le persone affette dal male sono circa 1 milione (600 mila colpiti da demenza di Alzheimer), mentre le persone direttamente o indirettamente interessate dall’assistenza a riguardo sono circa 3 milioni.

Il resto del mondo conta una stima di incremento esponenziale dei casi: nel 2010 risultavano affette da demenza 35,6 milioni di persone, con possibilità di aumento del doppio nel 2030, del triplo nel 2050, con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 4 secondi) e con una sopravvivenza media, dopo la diagnosi, di 4-8-anni. Pareri autorevoli del mondo scientifico si dichiarano entusiasti della scoperta.

Il virologo Roberto Burioni ha dichiarato (su Twitter) che si tratta di una ‘giornata storica’.
Soddisfatto anche Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di neuroscienze-neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele Roma, che afferma: “Questo è il primo farmaco in grado di interferire con uno dei tanti ‘killer’, la proteina beta-amiloide, ma per quello che ricordo ha potenziali effetti collaterali come micro emorragie cerebrali. Chi lo farà (stimo in Italia circa 100mila pazienti candidali se ci sarà l’ok dell’Ema e dell’Aifa) dovrà sottoporsi a risonanze magnetiche e aver documentato la presenza della proteina beta-amiloide”.

Prosegue Rossini all’Adnkronos Salute: ”A differenza dei due ultimi farmaci che incidevano solo su alcuni sintomi, modifica l’andamento naturale della malattia e la sua progressione. È il primo farmaco dopo vent’anni che sembra poter aiutare i malati, ma non sarà per tutte le persone colpite da Alzheimer”.

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