HomeSenza categoriaModa, la crisi del family business e la conquista estera del made...

Moda, la crisi del family business e la conquista estera del made in Italy: parla Romolo D’Orazio

Intervista a tutto campo al presidente di Modaimpresa: dalla vendita di Versace agli americani di Michael Kors alla crisi del sistema industriale del tessile del Belpaese. Con l’ambizione di arrivare un giorno a poter attirare investitori stranieri anche in Molise, che finora sono stati quasi sempre un bene per lo sviluppo


di Pasquale Bartolomeo

ISERNIA. La moda italiana si tinge a stelle e strisce dopo l’acquisizione di Versace da parte degli americani di Michael Kors. Un accordo da 1.83 miliardi di euro, che fa “cambiare bandiera” a uno dei gioielli dell’italianità nel mondo, aggiungendosi a un lungo elenco che conta brand del calibro di Fendi, Bulgari, Loro Piana, Valentino, Krizia.

Inevitabile”, secondo Romolo D’Orazio, presidente e amministratore delegato di Modaimpresa, unica azienda sopravvissuta dal crollo dell’ex Ittierre, capace di posizionarsi sul mercato imponendosi sul panorama nazionale, non solo per le proprie creazioni di moda ma come esempio di autoimprenditorialità.

Il manager isernino, che ben conosce le dinamiche economiche e finanziarie del sistema moda, nell’intervista che segue non si mostra affatto demoralizzato di fronte alla ‘colonizzazione’ dei marchi del luxury tricolore da parte di colossi esteri, che siano americani, francesi, cinesi o arabi. La legge del mercato, del resto, è inviolabile: chi ha forza per fare sistema, prevale. È una questione di capitali e numeri. E se l’imprenditore, a ogni livello, riesce a costruire, creare valore e vendere a un prezzo alto, ha fatto business, vincendo comunque la sua scommessa.

Dottor D’Orazio, anche Versace perde l’italianità. Secondo alcuni analisti di settore è ’colpa’ della crisi del sistema del capitalismo italiano nel mondo della moda, imperniato su famiglie che non la forza per portare avanti questo genere di impresa. Lei che idea si è fatto?

CS Michael Kors“Lei ha anticipato proprio la conclusione, nel senso che il tessuto imprenditoriale italiano è un tessuto familiare, soprattutto nella moda. Io ho avuto modo di lavorare anche qualche anno in Veneto e le imprese più forti di quella zona del nord Italia sono tutte fondate su un passaggio tra generazioni, nonno, padre e figlio. I problemi sono due: mentre i genitori, la prima generazione, si sono creati da soli nel momento in cui c’era bisogno di sforzarsi e far lavorare il cervello, le seconde generazioni hanno trovato la strada spianata e non hanno avuto bisogno di formarsi sul campo. Questo è il primo problema in generale dell’imprenditoria della moda, che viene da una seconda generazione un po’ viziata. A questo va aggiunto che il modello imprenditoriale che si è diffuso è quello della famiglia, che poco ha a che vedere con le logiche manageriali. Il modello familiare, semplificando, è fatto da un papà che prende le decisioni, da una mamma che fa la stilista, da un figlio che fa il commerciale e, per definizione, l’imprenditore ha sempre ragione. Un modello che sta andando pian piano a finire da sé. La crisi del 2007-2008 ha fatto sì che le aziende più strutturate riuscissero a sopravvivere e ad acquisire le aziende meno strutturate, che non hanno resistito all’urto. Questo ha portato il modello imprenditoriale familiare italiano a fallire”.

Insomma, le imprese sono diventate più grandi di quel che potevano e ora non stanno in piedi?

“È come se vuoi far correre una macchina che ha un motore che può fare 200 all’ora a 350 all’ora. Va fuori giri, non ce la fa, è impossibile. Ecco quello che è accaduto al modello imprenditoriale italiano, della moda ma anche in generale. Se va a vedere, anche i grandi gruppi appartengono alle famiglie, ma la differenza è che la Fiat, gli Agnelli, per esempio, hanno preso dei manager, anche all’estero, si sono strutturati, hanno avuto l’intelligenza di affidarsi a terzi”.

Ma in termini economico-finanziari, come fa un marchio come Versace a non reggersi in piedi? Perché il problema pare fosse quello: che i fatturati non fossero all’altezza di un brand “universale” come Versace.

donatella versace“In generale il discorso di Versace vale per Cavalli, per tutti, con l’eccezione di Armani e pochi altri. Quando vuoi competere su scala internazionale, soprattutto nel retail, hai bisogno di prendere delle location importanti come New York, Londra, Parigi, che costano tantissimo. Non è il problema di un marchio che non vende, sono gli investimenti necessari che sono tanti. E quando devi farli, i soldi o li hai o non li hai, per quanto il tuo fatturato sia super dignitoso. Io credo le variabili siano state due: la necessità di competere con i francesi, soprattutto, e quindi la necessità di liquidità; poi, il fatto che Donatella Versace (nella foto, ndr)non è più una ragazzina, Gianni è morto da tanti anni, e forse, per questi fattori, è stato fatto anche un discorso di tipo ‘speculativo’. Oggi probabilmente hanno preso una somma che fra sei o sette anni non avrebbero preso”.

Più letti

Il Paleosuolo al Museo del Paleolitico di Isernia

Musei e luoghi di cultura in Molise aperti per il 25...

In occasione della Festa della Liberazione ingresso gratuito CAMPOBASSO-ISERNIA. Per il 25 aprile, Festa della Liberazione, e per le celebrazioni del 1 Maggio, festa dei...
spot_img
spot_img
spot_img