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Asilo dell’orrore: dalla gogna social al vizietto fascista delle telecamere

La riflessione a tutto campo della presidente regionale dell’Associazione nazionale insegnanti e formatori, Sara Angelone. Dai tribunali social al vizietto fascista delle telecamere ma così non si indaga né si risolve il problema


ISERNIA. Alle reazioni di sdegno, seguite alla scioccante vicenda delle due maestre dell’asilo sospese dal servizio per i maltrattamenti – fisici e psicologici – ai danni dei piccoli alunni di un asilo di Venafro, ha fatto seguito – in maniera quasi univoca – una sola idea risolutiva sulla quale pare esserci convergenza assoluta. Le videocamere di sorveglianza, unico rimedio.

Forse la soluzione più facile e immediata, che, proprio per questo, non indaga sulle motivazioni del problema e non lo risolve.

Le tante domande che casi del genere suscitano, al di là dello sgomento e delle reazioni ‘di pancia’ resterebbero senza risposta. Ci si affida ad un ‘controllo’ di cui il personale è a conoscenza, aprendo ad altre domande: ci si ‘comporta bene’ perché professionalmente si hanno gli strumenti per gestire la stanchezza, il nervosismo e tutto quello che una lunga giornata a contatto con tanti bambini può scatenare, oppure solo perché ci sono le telecamere di sicurezza? Poche le voci fuori dal coro, in questa vicenda che crea fastidio anche solo a raccontarla e che ha scatenato tante tipologie di reazioni.

Il Questore di Isernia, il sindaco di Venafro, qualche consigliere regionale hanno espresso la necessità di ‘ripartire’ dal mondo della scuola. Gli altri, la maggior parte, hanno avuto una risposta univoca. Affidarsi al ‘grande fratello’.

L’Anief (Associazione nazionale insegnanti e formatori), attraverso la presidente regionale Sara Angelone, pone interrogativi leciti, legittimi, che vanno di certo oltre le letture e condanne superficiali, l’indignazione e la rabbia, il desiderio di farsi giustizia e le soluzioni più facile e immediata. Come è cambiata la scuola, si chiede la Angelone. Dove si annidano i punti deboli che sono diventati giorno dopo giorno veri e propri buchi neri nei quali sono precipitati quelli che sono i grandi valori di una professione che ha una valenza innegabile ma che è diventata di colpo marginale e manageriale. Due antipodi, vero, in mezzo ai quali ci sono gli insegnanti e gli alunni.

Casi del genere ce ne sono, ce ne sono stati e ce ne saranno. Ma quanti? Dove? Quali sono eventuali circostanze, elementi, fattori comuni? Qual è il profilo degli attori coinvolti? Com’è cambiato oggi l’ambiente nel quale accadono?

“Prendiamo spunto dai gravi fatti accaduti per una riflessione seria su come evitare che accadano ancora ma tuteliamo la dignità delle istituzioni e il nostro stesso senso di umana decenza lasciando gli atti delle indagini là dove devono essere, in tribunale” suggerisce la Angelone nella sua riflessione a tutto campo che coinvolge il personale docente e le famiglie, la politica e la burocrazia che oggi più che mai fagocita chi, nei ruoli di dirigenza, invece dovrebbe ascoltare e interpretare quanto accade nelle aule. Ma anche chi ha fatto finta di nulla, ha taciuto per non avere problemi, ha fatto scaricabarile sulla pelle dei bambini.

 “E’ innegabile che il deterioramento dell’ambiente lavorativo sia un fenomeno che interessa tutti i settori – commenta Sara Angelone – ma com’è cambiato oggi il lavoro degli insegnanti? Quale disagio quotidiano può condurre a simili comportamenti? Dov’è la rete di protezione capace di impedire che ciò accada? E’ un problema di individui o di sistema? Nel primo caso, staremmo tutti più tranquilli: di mele marce ce ne sono ovunque; una volta individuate basta eliminarle. Vale anche per quei genitori che hanno aggredito violentemente i docenti in tante scuole di questo Paese? Dove finisce il caso singolo e diventa fenomeno sociale da analizzare con attenzione?”.

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