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‘Cara Unilever, l’eccellenza di un’azienda è nella tutela dei dipendenti’: la toccante lettera aperta

A scrivere una lunga missiva il figlio di una lavoratrice che ricorda ai vertici della multinazionale i sacrifici profusi dai suoi operai, rammentando altresì che forse è giunto il tempo di mostrare la gratitudine


POZZILLI. Lavoratori, sindacati e molisani in generale con il fiato sospeso per conoscere il destino della Unilever di Pozzilli, verosimilmente in via di trasferimento al nord. Un’ipotesi che, se confermata dall’azienda, rappresenterebbe un corpo mortale per il tessuto economico e sociale della regione, soprattutto per le circa 450 famiglie coinvolte direttamente. E mentre si cercano occasioni di confronto, istituzionali e non, con i vertici del colosso anglo-olandese, al fine di mantenere la produzione nel Nucleo industriale della provincia di Isernia, arriva la toccante lettera aperta del figlio di una storica dipendente Unilever, il signor Gianluigi Zaccarella, il quale rammenta all’azienda i sacrifici profusi negli anni dai dipendenti per contribuire a renderla grande nel mondo, esortandola in sostanza a mostrare umanità, gratitudine, come del resto avrebbe fatto in passato. Pena, la perdita di credibilità.

Di seguito il testo:
“Per motivi di lavoro, ho dovuto lasciare la mia terra, la mia amatissima terra. Per molti inesistente, quasi una leggenda. Per tanti, la terra natia. Ma orgoglioso la porto dentro, e quando mi viene chiesto quali sono le mie origini, mi vanto e rispondo col sorriso: sono molisano e il mio piccolo paese è in provincia di Isernia.

Le mie abitudini mi portano a parlare e conoscere tante persone, i miei bimbi sono ragioni di confronti con altri genitori, altre origini, altri lavori. E se mi esprimo con gioia sulle bellezze della Mia terra, così bella e altrettanto dimenticata da una fantomatica e spregevole classe politica, sono ben felice di parlare anche dei miei genitori, dei loro sacrifici, dei loro lavori. Quando parlo di mio padre, chiunque mi riempie di complimenti; la divisa dei pompieri è indiscutibilmente amata e rispettata. E lui l’ha indossata con grande onore. Quando parlo di mia madre, sono fierissimo di dire che lavora in una multinazionale: la UNILEVER.
Io la ricordo come SODEL, perché quando mia madre, orfana di padre, all’età di 23 anni varcò per la prima volta i cancelli di quella ‘fabbrica’, le fu dato un camice bianco da operaia, e sul taschino sinistro, sul lato del cuore come si suol dire, c’era scritto SODEL, in blu, su una striscia gialla.
Di seguito si leggerà spesso la parola ‘orgoglio’, perché questo era, ed è il sentimento che sento dentro quando parlo di loro. Ho la fortuna di indossare la stessa divisa che mio padre ha sfoggiato per oltre 40 anni. Ma sono altrettanto felice quando parlo del lavoro di mia madre.

Cara UNILEVER, mia madre, come tante altre madri e padri di questa piccola regione, fatta di piccoli paesini di montagna e non, hanno creduto nella sua azienda e mi creda, grazie anche a Lei stessa, tanti bimbi sono nati, tante case sono state ristrutturate, e tanti ragazzi hanno potuto avere una dignitosa cultura scolastica ed universitaria. Io e mio fratello, siamo tra questi fortunati.
Ho un ricordo che in questi terribili giorni, guardando il tg regionale, mi rimbalza tra i miei pensieri, e se chiudo gli occhi riesco ancora a vedere il candore della neve che cadeva dolcemente sul cortile di casa. Era una mattina di Gennaio, io e mio fratello dormivamo nel letto di mia madre, lo facevamo spesso quando mio padre era di servizio di notte. Saranno state la quattro e mezza di un lunedì, ricordo bene il giorno perché la domenica sera avevamo cenato con i nonni. Mia madre silenziosamente cominciò a prepararsi per andare a lavoro, alle cinque iniziava il suo turno sulla linea del ‘Coccolino’. Mi svegliai di colpo e tra le fessure delle tapparelle della camera s’intravedeva scendere in maniera soffice, calma e candida, la neve. La piazza, i tetti di fronte casa, gli alberi, erano tutti bianchi. Ero eccitato dall’idea che non saremmo andati a scuola e che avremmo trascorso l’intera giornata con i nostri piccoli amici a giocare nella neve. Tra lo stupore e la felicità, mia madre ci diede un bacio ad entrambi, mise degli stivali e partì per il lavoro. La stanza magicamente sembrava ancora più silenziosa, il tepore delle coperte riavvolse i nostri sogni, ma il profumo di mia madre svanì nel bagliore dei fari di quella Autobianchi 112. Per tante mattine ho visto mia madre partire per andare a lavoro e con tanti altri, che si sono svegliati nel cuore della notte, hanno costantemente, orgogliosamente e con fiducia, indossato quel camice bianco per CREARE dal nulla, un flacone di Coccolino. Di Cif, di Vim, di Svelto e Bio Presto.

Cara UNILEVER, mia madre ha avuto per tantissimi anni le mani rovinate, logorate da quegli ingredienti necessari per il risultato di quel flacone, con quella fragranza e con quel ‘peluche’, inimitabili. Ma non si è mai tirata indietro, credeva in quell’azienda, credeva in quel lavoro, credeva nella crescita di quella piccola fabbrica. Da sempre si parlava della SODEL come una realtà unica nel Mezzogiorno, del Molise, di quella piccolissima provincia. È stata da sempre un’azienda in cui essere assunti era la massima ambizione è lei era molto, molto appagata di quella continua crescita, di quell’azienda che vantava altre sedi in Italia e all’estero. E quando a fine lavoro, mia madre ci portava un peluche di Coccolino, nei suoi occhi si notava la massima soddisfazione. Custodisco ancora oggi quei piccoli pupazzi. A volte li trovavo attaccati ai flaconi dei supermercati e ricordo bene anche la ‘tiratura limitata’ del Coccolino col cappello di Natale; e quando mi fece vedere per la prima volta la sigla di Pozzilli vicino al codice a barre, indicandone la provenienza e la linea, io ero orgoglioso di lei. Tutt’ora lo faccio e ancora oggi ho un tuffo al cuore. Quei peluche parlano di mia madre.

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