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Coronavirus, l’appello del medico di Isernia che ha avuto in cura il ‘Caso 1’: “Responsabilità, nessuno è immune”

ESCLUSIVO/ Simone Manocchio, 28 anni, laureato all’Unimol e oggi in forza presso la Terapia Intensiva del Policlinico San Matteo di Pavia, racconta tre settimane di trincea tra urgenze continue, turni di 14 ore con pesanti tute e filtri facciali per evitare il contagio e la necessaria presa di coscienza che non bisogna arrendersi: “Il 21 febbraio l’arrivo del primo paziente infetto: non dimenticherò mai quelle ore”


 di Pasquale Bartolomeo

PAVIA-ISERNIA. Simone Manocchio il coronavirus lo vede ‘in faccia’ tutti i giorni, in tutto il suo spietato avanzare. Lo segue passo per passo, nel suo incedere senza risparmiare nessuno, giovani e vecchi, sani e malati, lasciando per strada vittime e dolore. Ha visto più di una persona morire, in queste ultime settimane in cui è in prima linea, armato di una tuta che lo fa somigliare quasi a un’astronauta, chiamato come tutti a fare turni massacranti di 14 ore al giorno, con notti raddoppiate e la tensione che ti tiene in piedi anche quando il corpo inizia a ciondolare sotto il peso della stanchezza.

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Simone, 28 anni da compiere a giugno, è un medico specializzando in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e Terapia del Dolore. Viene da Isernia ed è in forza presso la Fondazione Irccs del Policlinico San Matteo di Pavia, centro di eccellenza della Lombardia balzato agli onori delle cronache nazionali per la cura di Mattia, il 38enne di Codogno noto ormai come il ‘Caso 1’. Simone è lì dal novembre 2018 – dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi del Molise nel 2017 – accanto al primario, il professor Giorgio Antonio Iotti, al direttore della scuola di specialità, il professor Francesco Mojoli e ad altri medici strutturali e specializzandi. Ed è lì che in questi giorni ha vissuto emozioni che fa quasi fatica a raccontare, nel pudore di chi ha visto tanto e, certe cose, neppure le riesce a spiegare. isNews lo ha intervistato in esclusiva.

D: Simone, com’è la situazione in un reparto dei più sovraccarichi d’Italia dopo lo scoppio della pandemia?

policlinico san matteoR: “La situazione nei reparti di Terapia Intensiva in generale non è semplice, soprattutto qui in Lombardia dove la stragrande maggioranza dei posti letto è occupata da malati affetti da Covid-19. Per quanto riguarda il Policlinico San Matteo di Pavia abbiamo ormai 35 pazienti ‘Sars-CoV2’ positivi in Rianimazione (dove sono stati costruiti e buttati giù muri in poche ore, in modo da rendere adatto il reparto all’inizio dell’emergenza), altri 16 malati in terapia subintensiva e decine di ricoverati in malattie infettive, oltre ad altri reparti ormai quasi interamente dedicati a questa epidemia, come per esempio la Medicina Interna. In Terapia Intensiva giungono i malati più critici con polmonite e insufficienza respiratoria grave. Si tratta di persone che necessitano di supporto ventilatorio meccanico per sopravvivere. Sono addormentati, intubati e respirano grazie ai ventilatori. Il decorso di questa nuova malattia è lungo, bisogna essere pazienti. Un esempio è l’ormai famoso ‘Caso 1’ che, seppur giovane e sano, è stato dimesso dal nostro reparto dopo una degenza di quasi 3 settimane”.

D: Il ‘Caso 1’, appunto. Trovato il quale la storia d’Italia cambia per sempre. Raccontaci la tua esperienza.

R: “La mia esperienza è iniziata il 21 febbraio con l’arrivo del primo caso Covid-19 a Pavia. Si trattava di un anziano arrivato nel pomeriggio in situazioni molto critiche dall’ospedale di Codogno a causa di un’insufficienza respiratoria grave e risultato positivo al tampone per il virus intorno all’una di notte. Fortunatamente, essendo alto il dubbio di possibile infezione da Covid-19 ci siamo presentati in Pronto Soccorso con tutte le precauzioni del caso e i dispositivi di protezione individuale necessari. Dopo poche ore lo abbiamo portato nel nostro reparto e intubato d’urgenza. Intorno alle 3 di quella stessa notte è arrivato, sempre da Codogno, il famoso ‘paziente 1’. Non dimenticherò mai quanto accaduto in quelle ore: sono rimasto a dormire in ospedale, eravamo stralunati, e nessuno di noi sapeva neppure come comportarsi. Poi, da quel momento è stato un crescendo di urgenze, ricoveri e creazione in emergenza di nuovi posti letto. Turni da 14 ore, notti raddoppiate, necessità di lavorare con tute nelle quali il caldo diventa insopportabile, filtri facciali e occhiali che lasciano segni dolorosi sul viso. Tornando a Mattia, con il migliorare della polmonite è stato possibile svegliarlo e deconnetterlo gradualmente dal ventilatore, per poi dimetterlo pochi giorni fa – circostanza in cui ero di nuovo presente in ospedale – in respiro autonomo nella nostra terapia subintensiva, dove proseguirà le cure”.

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