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Coronavirus, il Molise che non teme l’emergenza: alberghi per la quarantena e laboratori extra per i tamponi

L’INTERVISTA/ Il professor Giancarlo Ripabelli, a capo del Comitato tecnico scientifico di supporto della Regione Molise per la crisi del Covid-19, fa il punto della situazione e mostra cauto ottimismo: “Il sistema sta reggendo”. In caso di peggioramento, possibile l’utilizzo degli ospedali di Termoli e Isernia per fare più test faringei e l’affiancamento dell’Unimol. Ma i numeri “sono migliori delle regioni limitrofe e siamo terzultimi per la percentuale di decessi”. Per i sanitari malati, da non escludere strutture ricettive dedicate


di Pasquale Bartolomeo

 CAMPOBASSO. Giancarlo Ripabelli usa il linguaggio dello scienziato, ma infonde un messaggio di speranza, al Molise.

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Uscire dalla crisi sanitaria dipende dal comportamento di tutti, dal rispetto delle regole: ma se la situazione “sarà mantenuta sotto controllo come avvenuto fino adesso, potremo dire che il sistema si sarà dimostrato pronto a reggere la gestione del fenomeno”.

Ripabelli è presidente del Comitato tecnico scientifico di supporto della Regione Molise per la crisi del Covid-19, nel quale collabora fianco a fianco con altri due autorevoli specialisti, il dottor Felice Di Donato e il dottor Nicandro Buccieri. Professore ordinario di Igiene Generale e applicata presso l’Università del Molise, è al lavoro da circa tre settimane per indirizzare al meglio le scelte del governo regionale in una delle fasi più delicate che si siano mai vissute. Per ora, come detto, la situazione sembra gestibile. Ma Ripabelli e il suo team pensano al futuro, verso il quale bisogna farsi trovare preparati: a fare più tamponi, se le esigenze lo richiederanno, ma anche ad utilizzare gli alberghi per la quarantena del personale sanitario, in caso di bisogno.

Con lui, in dieci domande, abbiamo toccato vari temi: la fondatezza dei test sierologici, le terapie per gli isolati domiciliari, la possibilità concreta di avere un vaccino a fine anno, la fase 2. Cauto, ma ottimista, il professore spiega punto per punto qual è la situazione in Molise. Una regione che, per certe cose, sta meglio di realtà come la Puglia o la Campania.

D: Professor Ripabelli, in questi primi giorni di lavoro qual è stato l’apporto che siete riusciti a dare rispetto alla situazione Covid-19 in Molise?

R: Il Comitato tecnico scientifico si è insediato successivamente all’avvio delle attività dell’Unità di crisi, quindi nella fase iniziale abbiamo cercato di reperire tutta la documentazione già prodotta in modo da farci un’idea di quanto fosse stato fatto e quanto fosse opportuno ancora fare, raccordandoci anche con le esperienze delle altre regioni. Se la situazione sarà mantenuta sotto controllo come avvenuto fino adesso, diciamo che il sistema si sarà dimostrato pronto a reggere la gestione del fenomeno. Indubbiamente, di fronte a un’emergenza seria come quella che si è avuta in Lombardia non prendiamoci in giro: nessuna regione d’Italia, neanche la Lombardia stessa, era preparata a reggere un’ondata del genere in termini di posti letto e personale sanitario. In Molise sono stati aumentati i posti letto di Terapia Intensiva e Malattie Infettive, si sta provvedendo al reclutamento di altro personale e questo ovviamente fa stare tutti più tranquilli. Non dimentichiamo che nel precedente Piano sanitario le Malattie Infettive erano praticamente scomparse, perché – da Piano – c’erano solo 2 posti letto in isolamento. Se all’avvio dell’epidemia ce ne siamo trovati 10 è perché il precedente direttore sanitario dell’ospedale, la dottoressa Morelli, aveva richiesto la riattivazione di alcuni di essi in un contesto epidemiologico in cui si riteneva utile procedere in tal senso, seppure per altre motivazioni”.

D: Capitolo tamponi. In Molise si ha ancora la sensazione che se ne facciano troppo pochi, nonostante la popolazione esigua. Qual è la capacità quotidiana di elaborazione dei tamponi da parte dell’ospedale Cardarelli di Campobasso? Ci sono altre strutture laboratoristiche che potrebbero essere coinvolte per fare analisi molecolari? In Consiglio regionale hanno approvato una mozione, giorni fa, dove chiedono di fare una media di 120 tamponi al giorno.

CORONAVIRUSR: Noi facciamo quasi quotidianamente un confronto rispetto a ciò che stanno facendo le altre regioni e in particolare quelle limitrofe. In Molise il numero di questi test si pone più o meno nella media di 10 tamponi per ogni caso diagnosticato, quindi è un valore soddisfacente, ricordando che non abbiamo un eccessivo numero cumulativo di casi di infezioni, che si assesta intorno ai 260. Certamente, il Molise si sta impegnando a fare di più rispetto alla popolazione, aumentando il numero di tamponi. Siamo saliti a 82,5 test ogni 10mila abitanti: un buon dato, migliore della Puglia e della Campania, mentre il Lazio ha accelerato solo nell’ultima settimana. C’è in ogni caso l’impegno dell’Azienda sanitaria a fare meglio, ma va fatto secondo una ratio ben precisa rispetto alle finalità di utilizzo dei tamponi. Rispetto a quello che si fa ora, siamo in linea con le indicazioni ministeriali. Quanto alla capacità di analisi del Cardarelli, certamente non è ancora saturata: ci potrebbero essere altre strutture in grado di contribuire in caso di emergenza, ma devono avere delle macchine per la biologia molecolare. È possibile e probabile che si possano attrezzare anche i laboratori dei due ospedali spoke, ovvero Termoli e Isernia; nel frattempo ci sono anche altre strutture che potrebbero contribuire in caso di estrema emergenza, come l’Università del Molise con i laboratori di Igiene, per esempio. Attenzione però: il numero di tamponi dipende dalle esigenze diagnostiche che si pongono quotidianamente; so che sono circolati numeri, tipo almeno 120 o 150 al giorno, ma sinceramente non ho capito su che basi sia stato fatto questo calcolo e quale ne sia la logica. Se necessario, se ne faranno 400, in caso contrario ne basteranno 40, ma è chiaro che un ‘potenziale di fuoco’ come quello del laboratorio di microbiologia, gestito egregiamente dal dottor Scutellà che ne è il referente, sta lavorando in maniera precisa e professionale.

D: In Molise è prevista la possibilità di fare test sierologici rapidi per stabilire chi è immunizzato? Se sì, quando? In Veneto sono partiti dal personale sanitario e dalle case di riposo, è d’accordo su tale metodica?

test sierologicoR: Posso dire che i test sierologici non sono assolutamente test diagnostici. Sono invece test che dovrebbero servire ad individuare chi ha già avuto un’infezione e quindi per capire quanto sia stata veramente diffusa nella popolazione generale, perché non dobbiamo dimenticarci che molti soggetti possono aver avuto un’infezione asintomatica, quindi senza nessun segno connesso ad un’infezione Covid-19. Sono test definiti di siero-epidemiologia e servono per capire bene quante persone hanno avuto la malattia e quante hanno probabilmente gli anticorpi contro la stessa. Il limite di tutto ciò è che non abbiamo ancora test dichiarati sufficientemente accurati e precisi da poter essere utilizzati senza che il risultato finale desti qualche perplessità. Sono test che torneranno utili in un prossimo futuro, ma dobbiamo essere certi che il risultato che derivi dal loro utilizzo sia attendibile e quindi non dia false sicurezze o false preoccupazioni. La strategia da seguire viene definita a livello regionale con una finalità ben precisa che è quella di capire chi è siero-convertito rispetto alla malattia. Ma ripeto: dobbiamo ancora capire bene quali sono i test effettivamente validi, sufficientemente sensibili e specifici, e soprattutto quali sono i test che possano essere supportati da un parallelismo fatto con i tamponi; siamo ancora in una fase di comprensione di questa attività. Se un test del genere dovesse identificare la presenza di immunoglobuline di classe M, che sono le prime che si formano durante un processo infettivo, si potrebbe e dovrebbe sospettare che il soggetto ha ancora un’infezione in atto e quindi lo si dovrebbe segnalare in base al Decreto del 1990 sulla sorveglianza delle malattie infettive e della notifica obbligatoria dei casi evidenziati e sospetti. Ciò richiederebbe inevitabilmente l’effettuazione di un tampone naso-faringeo, perché è l’unico test definito come attendibile nella diagnosi di Covid-19.

D: Terapie farmacologiche e ospedalizzazione. In altre regioni, prendo ancora il Veneto come esempio, ci sono dati che fanno pensare che utilizzare i farmaci preliminarmente può aver avuto un ruolo per ridurre l’ospedalizzazione, se somministrati nelle fasi molto precoci dell’infezione. Qui in Molise come si sta procedendo per chi può essere curato da casa?

medici uscaR: La Regione Molise ha finalmente attivato le famose Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale. Sono reti territoriali di assistenza, il cui compito è anche quello di valutare l’andamento della malattia nei soggetti in isolamento domiciliare ed eventualmente valutare l’avvio di una terapia in base a quelle che sono le conoscenze attuali. Non prendiamoci in giro: se noi avessimo il farmaco ‘miracoloso’, il farmaco che funziona, lo sapremmo già. Tutto quello che si dice sui farmaci che si stanno utilizzando, è frutto di valutazioni che sono ancora in corso di validazione attraverso trial clinici, che sono gli unici studi che ci permettono di definire la superiorità di un farmaco o di una terapia rispetto a un’altra. Ma di conclusivo ancora non c’è nulla. Tutto quello che viene fuori deriva dall’osservazione e dall’utilizzo di alcuni farmaci basati sulla logica del loro funzionamento per altre malattie utilizzandoli in off label, ovvero al di fuori delle prescrizioni normalmente approvate dall’Aifa. Appena due giorni fa l’Aifa stessa ha approvato una circolare sull’utilizzo dell’eparina per questa malattia. Ma ripeto: se noi avessimo il farmaco efficace che può essere utilizzato senza nessun problema come da protocollo, lo sapremmo già. In Cina quest’epidemia è partita da fine novembre e di tempo per fare sperimentazioni su diverse molecole i cinesi ne hanno avuto, così come di acquisire informazioni che oggi sarebbero utili anche a noi in Italia. Ci sono varie terapie in fase di validazione, e certamente iniziano a uscire protocolli per renderne omogenea l’applicazione sul territorio nazionale, ma al momento non c’è ancora un protocollo definitivo e una molecola che con certezza funziona bene. Si parla di avvio precoce di terapia che può essere utile a impedire un’evoluzione ingravescente della malattia, ma per adesso, oltre che usare il condizionale, non si può dire di più. È chiaro che se i pazienti in isolamento domiciliare dovessero avere bisogno di terapia, oggi ci sono le squadre mediche che possono seguirli a livello domiciliare, quindi siamo in linea con le altre regioni italiane.

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