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Le meraviglie del sottosuolo di Venafro: due villaggi protostorici intatti

di Pasquale Bartolomeo

VENAFRO. Le meraviglie del sottosuolo affiorano a iosa, restituendo tracce dell’uomo vissuto nel territorio molisano circa 6mila anni fa. A Venafro si riscrive la storia dell’archeologia, grazie al ritrovamento neolitico più importante dell’Italia centro-meridionale.

Ben due insediamenti umani protostorici, o meglio due villaggi di grandi dimensioni in aree distinte,  a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, preservati dal tempo grazie a un’esondazione del fiume Volturno che li ha ricoperti e sigillati per secoli. I segreti dei quali sono stati svelati nel dettaglio, nella conferenza stampa di ieri presso l’anfiteatro romano Verlasce di Venafro, dal direttore regionale dei Beni Culturali del Molise, Gino Famiglietti. Accanto a lui, le responsabili materiali del ritrovamento del tesoro nascosto: due brillanti archeologhe, Maria Diletta Colombo, direttrice dei musei venafrani e responsabile locale della Soprintendenza, e la giovane Mariangela Rufo (di Isernia), ancora emozionate nel descrivere quei momenti, quando tra le mani si avvertiva la sensazione, palpabile, di aver riportato alla luce i resti degli antichi progenitori. Presente anche il sindaco Antonio Sorbo, giustamente orgoglioso della straordinaria scoperta e, tra il pubblico, l’assessore regionale al Marketing territoriale, Massimiliano Scarabeo.

Un momento della conferenza stampa
“Quelli di Venafro sono ritrovamenti non casuali – ha spiegato Famiglietti facendo una dovuta premessa – ma rappresentano il frutto della cosiddetta ‘archeologia preventiva’, ovvero di verifiche previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, propedeutiche alla realizzazione di lavori pubblici in aree ritenute di interesse archeologico. Si procede secondo due modalità: la prima consiste in una ricognizione di archivio e bibliografica, poi si passa a ricognizioni sul terreno e saggi preliminari. Il cantiere del metanodotto Busso-Paliano costituisce, pertanto, un esempio di corretta applicazione delle norme. I risultati sono straordinari e ci consentono di valorizzare l’identità di questo territorio, legando le persone ai luoghi”.

DUE INSEDIAMENTI INTATTI NEL TEMPO. Ma cosa è stato ritrovato e dove? Come detto, gli insediamenti neolitici – solitamente presenti nella pianura padana e in Puglia, ma mai ritrovati nell’Italia centro-meridionale prima d’ora – sono addirittura due: uno in località ‘Tenuta Nola’, detto anche ‘sito A’, che si estende lungo 350 metri lineari; l’altro in località ‘Camiciola’, altrimenti noto come ‘sito B’, su 70 metri lineari.

IL SITO DI LOCALITA’ CAMICIOLA: RESTI UMANI DI ADULTI. Quest’ultimo è praticamente intatto, così come lasciato dagli antichi poiché praticamente ‘sigillato’ da un’esondazione del Volturno che, ricoprendolo di limo, lo ha preservato integro per migliaia di anni, circostanza di per sé molto rara. Vi si trovano importanti resti faunistici e ossa umane di adulti, segno evidente di come fosse abitudine diffusa seppellire i defunti all’interno dei villaggi. Ma anche strutture abitative, mura, resti di punte e di alcune tombe. Il sito in questione, in pratica, non è stato soggetto a interventi moderni, e presenta una stratigrafia intatta.

IL SITO DI TENUTA NOLA: UN BAMBINO VECCHIO 8MILA ANNI. Diversamente, il sito di Tenuta Nola presenta una pluristratigrafia, avendo subito un’interferenza di natura antica. Proprio due metri sopra di esso, in un orizzonte temporale compreso tra il III secolo a. C. e il I secolo d. C., si insediarono infatti i Romani, dei quali sono state  ritrovate le evidenze: ceramiche, olle, vasellame ben conservato, per la maggior parte giacente sul fondo di un pozzo profondo circa 4 metri, al di sotto del quale, più in basso, forse addirittura fino a 30 metri, potrebbero trovarsi i resti di altro materiale neolitico. I reperti, probabilmente, erano stati gettati via da Romani quando abbandonarono la piana di Venafro.

Avendo il tracciato del metanodotto incrociato a nord-ovest il fiume Volturno, lo stesso ha consentito di far trovare i fori delle capanne, delle palizzate e i resti di alcune armi rudimentali. “Il materiale rinvenuto è molto significativo – ha proseguito Famiglietti – a testimonianza dei traffici che già avvenivano all’epoca tra varie parti del territorio nazionale. Di particolare interesse, le lame e i nuclei di ossidiana, un vetro vulcanico che si produce dopo le eruzioni, proveniente dalle isole Eolie, dalla Sardegna o da Ponza, a riprova delle direttrici di traffico che attraversavano il Tirreno”. Ma il clou, in località Tenuta Nola, è costituto dall’impronta di un bambino molto piccolo, poco più che appena nato, probabilmente vissuto 5-6mila anni prima di Cristo, di cui solo le ossa lunghe sono ancora chiaramente leggibili, mentre le altre, soprattutto quelle del cranio, sono mal conservate. La circostanza “fa tenerezza – argomenta ancora il direttore regionale dei Beni Culturali – ma testimonia le condizioni di vita molto dure in cui vivevano queste popolazioni, pur in un ambiente relativamente tranquillo, una piana attraversata dal fiume e con condizioni climatiche abbastanza agevoli rispetto ad altre parti del territorio”.

LA COSTOLA DI UN ELEFANTE. Non solo resti umani: sempre in località Tenuta Nola è affiorata anche la costola di un elefante, ma bisognerà attendere i risultati delle indagini al Carbonio 14 – che saranno svolte dal Centro nazionale di ricerche – per risalire all’epoca giusta, comunque presumibilmente neolitica.

DUE ANNI DI SCAVI: TUTTI I RITROVAMENTI. A questo punto Famiglietti ha passato la parola alla Colombo e alla Rufo che, grazie alla proiezione di alcune slide, hanno riepilogato i risultati di circa due anni di scavi in tutto il Molise (guarda la fotogallery in basso). Nella zona di San Massimo sono stati trovati i resti del portico di una villa romana; a Cantalupo di fornaci rinascimentali; a Castelpetroso di un impianto produttivo del III sec. a.C., con il particolare di una fornace; a Pettoranello di uno statio (posto di guardia, ndr) che interseca il tratturo; a Montaquila, ancora, sono state rinvenute tracce di una presunta attività agricola; a Pozzilli di una necropoli arcaica, presso la quale sono state scavate una ventina di tombe, piuttosto ricche ma non ben conservate a livello di ceramica (in buono stato, invece, i resti bronzei). Sempre a Pozzilli sono state intercettate alcune ville rustiche romane. A Venafro, infine, sono affiorate tracce di una centuriazione (schema con il quale i Romani organizzavano il territorio agricolo, ndr) e del sistema di suddivisione agraria. Oltre, naturalmente, ai due eccezionali insediamenti protostorici al centro della conferenza stampa, che candidano di diritto Venafro a nuovo fulcro dell’archeologia dell’Italia centro-meridionale.

IL MUSEO DEL NEOLITICO AL VERLASCE. Ma come fare a valorizzare il tutto? Famiglietti ha le idee chiare: “La valorizzazione si lega alla conoscenza – ha concluso – Avvieremo un discorso con il proprietario per acquisire, attraverso una trattativa privata o degli espropri, l’area oggetto dei ritrovamenti. Dopodiché dovremo continuare e completare lo scavo e, infine musealizzare i reperti. Il Verlasce, che stiamo restaurando, è già pronto per metà ed è interamente di proprietà statale: penso che potrebbe essere il luogo idoneo per il museo nel Neolitico”. Dove i villaggi dell’Homo ‘venafranus’, potrebbero essere ricostruiti e mostrati al pubblico nella loro interezza, come già avviene con successo in altre parti d’Italia.

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