Il re dell’automotive si confessa a ‘Repubblica’, svela i segreti dei nuovi 4 modelli di Suv con cui punta ad aggredire il mercato, si pone l’obiettivo di bissare il successo della Matiz e riferisce di un accordo con un altro colosso dagli occhi a mandorla, la Jac
MACCHIA D’ISERNIA. A volte ritornano. Incassano, accusano, ma non si arrendono. E ci riprovano. Massimo Di Risio è un combattente nato. L’imprenditore isernino, dopo la tegola Termini Imerese, sembrava destinato all’oblio. Invece oggi si riaffaccia sul mercato presentando quattro nuovi modelli di automobili a prezzi super competitivi.
In una lunga intervista a ‘La Repubblica’ (leggi qui), il re dell’automotive molisano svela i segreti dei suoi nuovi quattro Suv. Si dichiara pronto ad aggredire il mercato puntando a conquistarne una fetta pari al 2 per cento (20-40mila auto), nonostante oggi sia fermo a 600 vetture vendute in un anno. Ambisce a raddoppiare la propria rete da 60 a 120 concessionari, in breve tempo. E, soprattutto, afferma di avere nel cassetto un accordo con un (altro) colosso cinese, la Jac, marca che nel 2015 ha prodotto circa mezzo milione di automobili, di cui circa 350mila per il mercato interno. Da questa collaborazione è nata la DR4, uno dei nuovi ‘gioielli di famiglia’. Mentre la DR0 e gli altri modelli della nuova gamma DR sono invece il frutto della preesistente partnership, ora rinsaldata, con l’atro super gruppo automobilistico cinese, la Chery.
“Ci crediamo molto – spiega Di Risio, presidente e fondatore di DR, a ‘Repubblica’ – perché abbiamo un prodotto molto forte, accattivante”. L’ambizione non manca di certo: “Puntiamo a fare quello che hanno fa fece la Daewoo/Chevrolet con la Matiz”. Nella nostra storia ci sono stati alti e bassi. Il picco è stato di 15 mila auto l’anno nel 2010, il punto più basso 300 macchine nel 2012”.
Inevitabile un accenno alla vicenda Termini Imerese: “Siamo stati coinvolti nel progetto dal ministero dello Sviluppo Economico nel 2010 e dopo due anni di lunghe trattative (a fronte dei 6 mesi prospettati inizialmente), in cui abbiamo ottenuto i consensi di tutti i soggetti coinvolti – Regione Sicilia, sindacati e forza lavoro – il nostro piano è stato messo da parte dal governo Monti, subentrato nel 2012 a quello di Berlusconi. Nel corso delle trattative – ha concluso Di Risio – in attesa di trasferire la produzione in Sicilia, la nostra azienda era praticamente rimasta ferma. Perdevamo circa 1 milione di euro al mese”.
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