Categories: CRONACA

Ucciso con 33 coltellate: notte di sangue in famiglia

Ci troviamo dinanzi quindi ad un uxoricidio congiunto a parricidio, un “delitto occasionale” ovvero un fatto unico, prevedibilmente non destinato a ripetersi ed accaduto in situazioni particolarmente difficili, vissuto come modo eccezionale di risolvere contingenze particolarmente ansiogene. La donna che uccide rappresenta il 13-17% degli autori di reato e nel 11% dei casi ricorre all’accoltellamento.

Il mezzo utilizzato per l’omicidio rimanda ad un elevato coinvolgimento emotivo-affettivo, il numero delle coltellate ci racconta del desiderio impetuoso e totalizzante di rivalsa, rivincita, rappresaglia o vendetta e di porre fine ad una situazione non tollerata dai componenti del gruppo familiare. Fuori dalla questura parenti applaudono e salutano gli imputati. La motivazione appare ruotare quindi intorno alla difesa da un’aggressione ed alla vendetta.
Se il prosieguo delle indagini dovesse confermare la pista della elevata e violenta conflittualità relazionale intrafamiliare, è probabile che nella mente dei protagonisti si sia fatta nel tempo strada l’idea dell’omicidio come una delle possibili soluzioni.

L’anticipazione mentale degli effetti dell’azione omicidiaria, basata su una valutazione dei vantaggi e degli svantaggi pragmatici e simbolici, può portare alla decisione di mettere in atto l’azione criminale, cominciando a pensare a quando e come farlo. La scena del crimine, l’assenza dei figli minori, l’arma utilizzata ed il numero delle coltellate inferte, nonché la partecipazione di entrambi i figli, come in una sorta di spedizione punitiva in cui i freni inibitori e la responsabilità morale appaiono reciprocamente liquefarsi, potrebbe far pensare ad una progettazione dell’atto omicidiario. La durata della progettazione dell’omicidio è variabile in base alle circostanze in cui matura l’omicidio: in un omicidio “d’impeto” (ad esempio a seguito di un diverbio per motivi di viabilità) durerà pochi istanti, in caso di un omicidio “liberatorio” intrafamiliare (ad esempio un parricidio, come in questo caso) potrà durare anche parecchi mesi. Tale fase può contemplare anche l’influenza o l’aiuto da parte di altri individui (es. attraverso consigli o pressioni psicologiche).

Nella fase dell’esecuzione dell’omicidio assume notevole rilevanza il comportamento e l’atteggiamento della vittima che possono facilitare (vittima precipitante) o indurre esitazioni nell’autore. In questo caso, sulla base dei racconti dei protagonisti, la vittima avrebbe favorito, con il suo comportamento prevaricatore, il precipitarsi degli eventi.

Negli uxoricidi perpetrati dalle donne, la più alta percentuale rimanda alla motivazione della “liberazione dal tiranno”, all’interno di un rapporto incentrato su violenza morale o psicologica e spesso fisica (maltrattamenti in famiglia, abuso dei mezzi di correzione). In questa vicenda il parricidio commesso dai giovani sembra potersi definire «liberatorio» : il padre è ucciso perché ostacolo al raggiungimento o conservazione della felicità . I ragazzi apparrebbero uccidere il padre tiranno (padre-padrone) per salvaguardare l’integrità fisica-psichica-morale della famiglia, sottoposta a continue vessazioni da parte del pater familias.
Difficilmente in un ambiente familiare sano maturano gravi reati. In questo nucleo era presente una patologia del sistema di relazioni familiari che interessava le dinamiche dei rapporti tra i vari membri. “Il carcere sarà sempre meglio della vita che ho fatto fino adesso”: così Salvatrice Spatafora si sfoga dopo l’omicidio. 

Francesca Capozza
criminologa-psicologa-piscoterapeuta

 

 

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Deborah

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