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Coronavirus, l’immunologo dell’Umberto I di Roma: “Tamponi da subito per evitare l’ospedalizzazione”

Per l’infettivologo Francesco Le Foche si sta sprecando tempo prezioso: “La fase iniziale della patologia è importantissima per aumentare la speranza di vita dei pazienti e la stiamo sottovalutando: è gravissimo”


C’è un ritardo nell’individuare i pazienti affetti da coronavirus che comporta eccessiva ospedalizzazione e il ricorso quindi alle terapie ormai sovraccariche. Bisognerebbe fare tamponi sin dai primi sintomi per accelerare le cure, aumentando la speranza di vita dei pazienti.

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Di questo avviso si dice Francesco Le Foche, responsabile del Day Hospital di immunoinfettivologia al Policlinico Umberto I Università La Sapienza di Roma in una intervista rilasciata all’agenzia Ansa e rilanciata da Fanpage.

“I primi 7 giorni di malattia sono fondamentali – ha dichiarato quindi l’esperto – Se facessimo tamponi rapidi a chi ha pochi sintomi e iniziassimo subito a curarli, molti pazienti non avrebbero bisogno dell’ospedale. La fase iniziale della patologia è importantissima e la stiamo sottovalutando: è gravissimo il fatto che non si agisca, laddove possiamo ridurre il danno. I contagiati individuati precocemente ‘dovrebbero esser trattati a domicilio dalla medicina del territorio e questo non viene fatto. Il rapporto costo-beneficio, sia dal punto di vista umano che economico, sarebbe enorme”.

“Le terapie intensive sono in sovraccarico – ancora Le Foche – perché abbiamo un ritardo nell’individuare i pazienti con sintomi e nell’iniziare a trattarli con antivirali che permettono di ridurre la replicazione del virus e evitare il peggioramento”, che avviene dopo le prime 72 ore quando si verifica il danno virale nelle cellule del polmone profondo. “Dopo c’è una risposta del sistema immunitario, che crea una infiammazione simile a quella che si rileva nelle polmoniti interstiziali autoimmuni – ha spiegato – e dovuta alla cascata citochinica, che si sovrappone al danno fatto da virus. E, dopo circa 7 giorni, si arriva a un bivio: l’80% dei casi migliora, l’altro 20% può andare incontro a un interessamento del polmone profondo che induce una polmonite interstiziale bilaterali”.

“Sprechiamo tempo prezioso – ha aggiunto l’infettivologo – perché nella prima settimana abbiamo una artiglieria che non risponde. Per questi pazienti, oggi in Italia non si fa nulla, spesso non vengono individuati e quelli individuati vengono solo messi in isolamento domiciliare fiduciario”.

La soluzione, dunque, sarebbe trattare subito i pazienti con pochi sintomi. Andrebbero usati – ha chiosato – i marcatori sierologici “per individuare precocemente, con analisi del sangue da effettuare già nei primi 4 giorni, coloro che andranno incontro a una risposta immunologica molto forte, che porta alla terapia intensiva. A questi pazienti si può iniziare il trattamento con tocilizumab, farmaco per l’artrite, per il quale è partita una sperimentazione”.

 

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Alessandra

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