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Covid, la virologa di Hong Kong inchioda la Cina: “Hanno insabbiato le ricerche sul virus”

La dottoressa Li-Meng Yan parla in esclusiva a Fox News: “Mi hanno detto di tacere e sono dovuta fuggire”


Spunta una testimonianza che proverebbe le responsabilità della Cina nell’aver tentato di nascondere fino all’ultimo momento l’esplosione dell’epidemia, ricorrendo  anche a minacce e intimidazioni nei confronti degli scienziati. 

In una intervista rilasciata a Fox News la virologa Li-Meng Yan dichiara senza mezzi termini: “Se ne avessi parlato in Cina, mi avrebbero imprigionato o forse peggio“. Per questo, come riportata tgcom24, è stata costretta ad abbandonare la sua vecchia vita per approdare negli Stati Uniti.

“Sono venuta qui per raccontare la verità su come il Covid-19 è riuscito a espandersi nel mondo“. La dottoressa accusa il governo di Pechino di essere venuto a conoscenza della trasmissione da uomo a uomo molti giorni prima rispetto a quanto dichiarato. Come prova della sua tesi, mostra alcune conversazioni con uno scienziato del Centro per il controllo malattie (Cdc), centro di ricerca indipendente con sede a Pechino.

La ricercatrice dell’Università di Hong Kong dice di essere stata la prima persona ad aver investigato sul Covid-19: “Il 31 dicembre, dopo aver identificato un virus simile alla Sars a Wuhan, mi è stato chiesto di effettuare delle ricerche in segreto. Un mio amico che lavora al Cdc mi disse di aver individuato sintomi simili in altre persone, anche se il governo cinese aveva escluso la trasmissione tra esseri umani”.

La dottoressa racconta di come molti suoi colleghi fossero spaventati all’idea di fare domande. Sul suo telefono si leggono frasi come “questi argomenti sono troppo delicati” o “dobbiamo stare attenti”. “Il contagio a Wuhan stava crescendo in fretta, così una volta terminate le ricerche ho fatto rapporto al mio capo dipartimento, il dottor Leo Poon.”, continua Yan, “Lui mi ha chiesto di non dire nulla e di essere prudente”.

“Molti di loro sono virologi e sapevano a quale catastrofe stavamo andando incontro. Avevano il dovere di fare qualcosa”. Dopo giorni di silenzio da parte dei suoi superiori, la decisione di agire: la dottoressa ha condiviso le sue ricerche con un blogger statunitense. “Dopo sole quattro ore, è arrivata la prima risposta dal nostro governo: avevano cambiato il numero di casi da 60 a quasi 200. E hanno ammesso finalmente che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo”.

“Sapevo di essere in pericolo”. A quel punto la dottoressa Yan ha lasciato la sua vecchia vita per trasferirsi negli Stati Uniti e raccontare la verità al mondo. “Mio marito lavorava con me nel laboratorio. Quando gli ho chiesto di seguirmi, non ne ha voluto sapere. Era spaventato dalle ritorsioni del governo: diceva che ci avrebbero ucciso per colpa mia”. All’arrivo a Los Angeles, la donna è stata interrogata e dopo aver spiegato i motivi del suo viaggio, ha chiesto protezione ai servizi segreti americani.

“Poche ore dopo la mia partenza, la polizia è piombata a casa mia. Hanno messo a soqquadro l’appartamento in cerca di prove, hanno interrogato la mia famiglia e hanno cancellato il mio account lavorativo”. Nei mesi successivi, la dottoressa è stata anche vittima di cyber attacchi: su Facebook sono comparsi profili a suo nome in cui veniva etichettata come affetta da disturbi mentali.

L’Università di Hong Kong ha reso noto soltanto che la donna “non fa più parte del loro staff”, senza aggiungere altre dichiarazioni.

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Redazione

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