Categories: CULTURA & SPETTACOLI

La lezione di Rebecchini: “Cari architetti molisani, sviluppate idee vostre”

Il Professore è stato ospite della Fondazione Architetti di Campobasso. La sua mostra di disegni e schizzi di 60 anni di attività ha offerto diversi spunti di discussione: “Il nostro lavoro deve essere utile all’uomo, non fine a se stesso”. Poi il paradosso: “L’inefficienza italiana ha salvato Roma dalle mostruosità dei grattacieli che vediamo nelle altre metropoli”.


di Maurizio Cavaliere

Da un’idea al disegno: l’utopia che diventa realtà per un’architettura che guarda ai bisogni dell’uomo. Questa è la direzione di un percorso professionale importante: quello seguito dal grande architetto Giovanni Rebecchini durante 60 anni di attività. 

Più di mezzo secolo di stimolanti esperienze progettuali e lavori riassunti in una mostra che ha fatto tappa ieri pomeriggio nel capoluogo regionale, su iniziativa della Fondazione Architetti della provincia di Campobasso.

L’architetto Giovanni Rebecchini e signora con Teresita Vecchiarelli e Antonio Sollazzo (vertici Fondazione Architetti Campobasso) e il Presidente dell’Ordine Alessandro Izzi. In basso alcuni momenti dell’incontro al Convitto ‘Mario Pagano’

Introdotto dalla Presidente Teresita Vecchiarelli e dal Presidente dell’Ordine degli Architetti della provincia di Campobasso, Alessandro Izzi, Rebecchini ha illustrato e commentato schizzi e disegni da cui poi si sono sviluppate opere notevoli per centinaia di progettazioni che vanno in ogni direzione: alberghi di lusso, tonnare, club house di circoli prestigiosi, stazioni ferroviarie, insediamenti turistici, case della musica e dell’arte, case per il rifugiato: “Mi manca sono gli ospedali” ha commentato ieri l’architetto romano che ha inoltre arredato il negozio della Rinascente, la Galleria Colonna a Roma e la famosa discoteca Piper, partendo sempre da una personalissima intuizione rappresentata manualmente su un foglio di carta.

 “Il disegno, a differenza del computer, sviluppa molto l’immaginazione. E’ un sogno per realizzare cose meravigliose – ci ha detto in questa video intervista – Le idee non vanno prese dagli altri, ma vanno immaginate e realizzate”.

Lungo e articolato il suo intervento (moderato dal vice presidente della Fondazione Antonio Sollazzo) ieri al Convitto ‘Mario Pagano’. Tanto da vedere, capire, approfondire ascoltando le sue parole, cui hanno fatto da supporto le slide con i lavori vecchi e più recenti sullo sfondo.

La creatività è un altro elemento che ha connotato l’opera di Rebecchini il quale ha maturato una sua personalità ironica e artistica, curiosa della vita, e ha fatto sua quest’attitudine leggera e profonda al tempo stesso, nel quotidiano, anche al di fuori della professione. Negli anni Ottanta interpretò il mitico ‘Pensatore quiz’ di Indietro tutta, con gli amici Renzo Arbore e Nino Frassica. La vecchia parrucca ieri non l’ha portata ma il ricordo è sempre vivo, piacevole: “Volevo portarla, in realtà, e magari venire qui sul palco e dire ai presenti: ‘Sono il fratello gemello di Giovanni Rebecchini, continuo io per lui perché adesso lui vuole un po’ riposare”. Classe 1938 e classe da vendere: Rebecchini è sempre lui, ispirato e schietto come quando ha detto che “l’architettura deve tornare a essere umana. Quei grattacieli che vediamo nelle metropoli sono impressionanti, ma a pensarci bene Hyde Park a Londra è rovinata proprio da quegli edifici così alti”. Poi parla della sua Roma. “La bellezza della capitale – affonda la lama con un paradosso – è che nell’ultimo secolo ha avuto una dirigenza totalmente inefficiente. Questa è stata una fortuna perché se ci fosse stata efficienza oggi ci sarebbero le stesse mostruosità che invadono le altre città europee dove la modernità non c’entra niente con la città storica. Una volta tanto l’inefficienza italiana è stata utile per i cittadini italiani. La cultura è di chi la fa e di chi la compra” ha concluso. L’importante è che l’architettura, lì nel mezzo di tutto, sia vicina alle esigenze dell’uomo, ai suoi spostamenti, alla vivibilità degli spazi, e non un esercizio di stile fine a se stesso. 

Maurizio

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