È stato realizzato da Domenico e Michele Fraraccio


Si chiama ‘Brigantessa’ ed è la nuova creatura di Domenico e Michele Fraraccio, a Frosolone. Una storia di lame lunga cinque generazioni che riscopre un pezzo di storia della nostra regione, quella del brigantaggio.

È un coltello a serramanico ricostruito filologicamente, studiando quel tempo di lotte per sopravvivere e per la libertà. “Ci siamo ispirati – dicono Domenico e Michele Fraraccio, padre e figlio – alla storia di Michelina Di Cesare, la brigantessa di cui la nostra conterranea Nadia Verdile ha scritto la biografia, che nella banda di Francesco Guerra percorse, in lungo e in largo, i monti del Matese. La sua figura emblematica è rimasta intatta nell’immaginario collettivo di questa terra. Due erano le tipologie usate da brigantesse e briganti: il coltello da offesa, di dimensioni molto abbondanti e con la lama lunga e acuminata ed il coltello a serramanico, di dimensioni più piccole, utilizzato nelle azioni quotidiane”.

Le armi brigantesche erano fucili, pistole, pugnali, stiletti, piccole roncole; gli uomini erano armati con fucili a doppia canna, revolver e pistole. Michelina, che fu poi moglie del capobanda Guerra, usava armi da fuoco, come dimostrano le poche foto che di lei ci sono pervenute, ma tutte le brigantesse avevano i due tipi di coltelli che maneggiavano con cura e abilità. Domenico e Michele Fraraccio si sono concentrati sul coltello a serramanico studiando esemplari del tempo, la seconda metà dell’Ottocento, utilizzati anche dai pastori che vivevano sui monti del Matese. “Tutti – continuano i Fraraccio – sono accomunati da alcune caratteristiche: la lunghezza non superiore ai 20 cm, la forma della lama, con ampia pancia verso la punta, e con larghezza di circa 2 cm nella parte centrale, il manico in corno di mucca. Proprio sulla forma del manico (realizzato in corno vaccino, all’epoca materiale povero, di uso comune, legato all’attività di allevamento, materiale con cui venivano realizzati strumenti ed utensili per la campagna) abbiamo concentrato l’attenzione notando come i coltelli in nostro possesso fossero caratterizzati dalla curvatura del codolo (la parte finale del manico), molto più accentuata dei modelli di Frosolone”.

I Fraraccio lavorano e producono coltelli da cinque generazioni e da tre distribuiscono all’ingrosso, in tutta la nazione, lame: coltelli, forbici, articoli per la lavorazione delle carni, accessori da cucina, utensili per l’agricoltura e ricambi e mole per arrotini. Una storia di famiglia che è anche un pezzo di storia di Frosolone. La loro storia è strettamente legata a Frosolone dove, a partire dalla seconda metà del settecento, fiorì la produzione di lame. “L’uso del corno vaccino – concludono i Fraraccio – sicuramente deriva dalla contaminazione dovuta alla vita sui monti del Matese. La montagna preservava e garantiva la sopravvivenza di briganti e brigantesse e dava loro la possibilità di spostarsi agevolmente seguendo sentieri sconosciuti ai più. Aggirando così i controlli delle milizie del tempo. E così come su un costone del Matese c’è il Molise dall’altro versante c’è il casertano da cui veniva Michelina. Il manico, dunque, evidenzia l’influenza che il territorio campano aveva nella vita dei briganti che vivevano i monti del Matese. Nel modello Brigantessa l’accentuata curvatura finale del manico ne permette una migliore e più salda presa, soprattutto per una mano femminile (sicuramente più affusolata di una maschile), pur consentendo alla lama di sparire totalmente nel manico”.

Le caratteristiche tecniche di Brigantessa, il nuovo coltello pensato e voluto da Domenico e Michele Fraraccio, sono: una lunghezza totale di 20 cm, la lama (solo tagliente) di 8 cm, fatto in acciaio inox Aisi, specifico per coltelleria, con manico in corno vaccino, con cassa interna in acciaio inox. “Una lama tagliente, pericolosa e decisa, dal nome volutamente femminile – conclude Michele”. Tagliente, pericolosa e decisa come fu la battaglia di Michelina Di cesare che con il suo compagno Ciccio Guerra entrò in queste terre intrattenendo contatti con i briganti di Roccamandolfi e con quelli di Macchiagodena.