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Asilo dell’orrore: dalla gogna social al vizietto fascista delle telecamere

Una domanda tira l’altra, a conferma che non è tutto così facile e scontato. Perché alcuni comportamenti sono dettati da un vissuto personale e professionale che deve per forza essere indagato se non si vuole dare una risposta superficiale ed emergenziale. Non comprendere dove l’ingranaggio di è rotto, non consentirà di ‘aggiustare’ una macchina, quella dell’insegnamento, che non può fermarsi, che deve essere al passo con i tempi ma nel rispetto delle peculiarità di ognuno. Un ruolo talmente delicato, quello dell’insegnante, che non può essere trattato con superficialità.

Mettiamo le videocamere anche in tutte le case degli italiani per comprendere come si possano generare tali comportamenti? Dove arriva il cerchio delle responsabilità? Pensiamo a come, da anni, l’opinione pubblica sia stata sapientemente ‘guidata’ contro docenti fannulloni, e precari fastidiosi e insofferenti – continua ancora la Angelone -. E i dirigenti scolastici? In cosa consiste il loro lavoro oggi? Si dedicano ancora al monitoraggio del lavoro dei docenti, all’ascolto degli allievi, del personale, delle famiglie, alla cura della qualità delle relazioni interpersonali interne ed esterne, alla mediazione e al supporto anche didattico e formativo? Si sono moltiplicate incombenze burocratiche e responsabilità perché è richiesto loro di essere innanzi tutto buoni amministratori in una logica aziendale che male si adatta alla ‘comunità educante’. Ma non sono stati adeguati né percorso formativo né retribuzione; in cambio, però, con il proliferare delle reggenze gestiscono ‘aziende’ con migliaia di alunni e centinaia di dipendenti. Se così non fosse, sarebbe incomprensibile come quanto accaduto per lungo tempo in quelle classi possa essere sfuggito al dirigente scolastico, ma anche agli altri membri della ‘comunità educante’. E nessuno si senta assolto: di questa comunità fanno parte tutti i lavoratori della scuola, ma anche le famiglie”.

E sulla soluzione più facile ed immediata, quella che non va oltre che la soddisfazione di una necessità impellente, il discorso è chiaro e induce alla riflessione.

“Svuotiamo di significato tutte le istituzioni della repubblica. Sottoponiamo tutti gli operatori che svolgono un pubblico servizio, amministratori inclusi, al video controllo. Le videocamere in classe? Certamente: perché non diffondere poi i video delle lezioni sul web e far votare la lezione più gradita? Trasformiamo anche la lezione in un circo mediatico dove ognuno commenta ciò che più gli piace o ciò che non gradisce, pur non avendo alcuna competenza in materia. Ormai ognuno pensa di poter fare il mestiere altrui: ma per alcuni mestieri questa pretesa è molto più diffusa che per altri. E invece, è sempre la totale o parziale ignoranza del lavoro altrui, e delle difficoltà del contesto nel quale si svolge, che ci predispone a facili quanto superficiali giudizi.

Qualcuno è al corrente delle tante ricerche condotte sulla sindrome di burn-out dei docenti, sul disagio sempre più diffuso tanto da far inserire la professione tra le “helping professions”? Vogliamo somministrare test -psico attitudinali? Chi dovrebbe somministrarli e in quale sede? E, soprattutto con quale scopo? Licenziare o recuperare? Le difficoltà e le sfide della professione sono già ben conosciute, come ben conosciuto è il mancato riconoscimento di chi, la maggior parte, le affronta egregiamente ogni giorno

Il problema è che una volta arrivati in aula i docenti non possono essere abbandonati a se stessi per il resto della loro carriera. Vanno accompagnati con misure e figure adeguate, ascoltati, aggiornati, supportati. L’ascolto competente è l’unico punto di partenza per individuare e risolvere tempestivamente. L’aggiornamento continuo anche sulle dinamiche di gestione della classe e dello stress, il miglior rimedio. Altrimenti, i test psico-attitudinali, ma anche di verifica delle capacità e competenze relazionali, vanno fatti a tutti i coloro che svolgono una funzione pubblica o lavorano a contatto con le persone. Certo, con l’autonomia differenziata ognuno magari penserà di potersi fare delle regole ‘locali’ che rispondano agli umori di casa propria.

La scuola ha bisogno di un’attenzione seria e mirata alle tante sfide che deve affrontare; calibrata sui bisogni reali dell’utenza e, di conseguenza, del personale che vi opera. Utenza e personale che hanno finora subito i guasti di una riforma permanente il cui unico malcelato obiettivo era quello di battere cassa. E nel mentre si procedeva con tagli indiscriminati, paradossalmente in nome dell’efficienza e della qualificazione del sistema istruzione, il carico di lavoro e di stress è aumentato esponenzialmente senza produrre evidenti miglioramenti. Eppure la scuola ha continuato a svolgere il proprio compito nonostante tutto e talvolta contro tutti”.

I concetti chiave sui quali ragionare, per Sara Angelone, sono la formazione seria e continua a tutti i livelli; qualificazione delle strutture, del personale, della dirigenza; stabilità; gratificazione; riconoscimento sociale; attraverso un monitoraggio che non sia solo autoreferenziale processo burocratico ma produca risultati visibili in termini di correttivi e interventi mirati, e incentivi.

E sulla gogna social e il tribunale della rete, con le condanne (che a volte prevedono anche la pena di morte) già comminate, il giudizio è tranchant: “trasformiamo i social in tribunali estemporanei e facciamoci giustizia da soli”. Che, in effetti, riassume quello che davvero, nel giro di 48 ore, è successo.

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redazione

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