HomeSenza categoriaRegionalismo differenziato, in Consiglio regionale la proposta di ‘secessione’ del Nord

Regionalismo differenziato, in Consiglio regionale la proposta di ‘secessione’ del Nord

Manca un tassello fondamentale però, che rende questo percorso così difficile da digerire. Dal 2001 nessun governo ha trovato il tempo di definire i cosiddetti LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali e civili da garantire, in maniera omogenea e diffusa su tutto il territorio nazionale secondo Costituzione. “Se non si sa quanto costano i LEP, come si può stabilire l’entità delle risorse da assegnare alle regioni per garantirne il godimento ai cittadini?” è la domanda ricorrente, sempre fra gli addetti ai lavori.

La questione è rilevante ed è ancora in fase di discussione ma il tema è uno solo: i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti? Diritti a rischio nelle regioni di più piccole dimensioni, in quelle più povere per retaggio storico e difficoltà evidenti come quelle che vive il Molise quindi?

Il Veneto, inoltre, propone di calcolare i fabbisogni standard tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da tenere sotto controllo e mettere in sicurezza, eccetera), ma anche del gettito fiscale, cioè della ricchezza dei cittadini. La voragine tra Nord e Sud potrebbe aprirsi pericolosamente.

L’intera vicenda, come detto, parte da lontano e non è certo questione recente come si potrebbe pensare: la discussione è finora avvenuta tra governo e Regioni. Il 28 febbraio 2018, a 4 giorni dalle elezioni, il governo Gentiloni con il sottosegretario Bressa (bellunese, come ricorda la stampa di allora) siglava un pre-accordo con le tre regioni, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna che avevano avanzato richieste di regionalismo differenziato e di autonomia su determinate materie. Poi la trattativa è passata al Governo Conte.

Se venisse usato il criterio del residuo fiscale regionale, la spesa pubblica dovrebbe aumentare, di molto, in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e diminuire – di molto – in tutto il Mezzogiorno.

E’ evidente che la questione accenda il fuoco politico: questo regionalismo differenziato è impossibile se si vuole salvaguardare la coesione nazionale, se si vuole diminuire il gap tra Nord e Sud. Le differenze di posizioni (politiche) si stanno evidenziando anche in aula dove il dibattito è in corso da questa mattina alle 11 circa senza soluzione di continuità. Rischio povertà ed ‘emarginazione’ per le regioni più piccole, meno dotate di infrastrutture, meno abitate, più povere? L’assunto è uno solo: la crescita economica di una regione, di un Paese, si avvera solo se tale regione o Paese sia inserita/o in un contesto più ampio. La tesi di chi si oppone alla concreta realizzazione di questo iter è che un ‘mercato’ ed una comunità, nazionale ed internazionale, debbano essere allargate in modo che la crescita e lo sviluppo, di una regione e di uno Stato, permettano la crescita e lo sviluppo delle altre regioni e degli altri Stati.

A sostegno delle ragioni delle regioni del Mezzogiorno, entra a pieno titolo anche il rapporto 2018 della SviMez che afferma come sia una bestialità considerare il Mezzogiorno come una sorta di zavorra per lo sviluppo della parte più ricca d’Italia.

Sono i numeri a raccontare la verità del Mezzogiorno d’Italia: il mercato di destinazione del Sud genera al Nord una ricchezza di circa 200 miliardi. Per non parlare del ‘capitale umano’ che da Sud emigra al Nord. Nel 2016-2017 un quarto degli studenti residenti nel Mezzogiorno iscritti alle Università, ad esempio, lo ha fatto in ateneo del Nord. Quasi 200mila ragazzi e ragazze del Sud vivono e studiano al Nord, spostando circa 3 miliardi di consumi, pubblici e privati, da Sud a Nord, senza tener conto dei circa 2 miliardi che, stima la SviMez, sono stati necessari per formarli fino alle soglie dell’università: soldi spesi dal Sud, i cui frutti verranno utilizzati al Nord, che invece non ha speso neanche un centesimo per quei giovani.

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