Le motivazioni della donna assassina possono essere strumentali, cioè legate all’ottenimento di vantaggi concreti (es. il denaro, le proprietà, l’eredità), ma anche simbolico-espressive, che si annidano nella qualità delle dinamiche di coppia e familiari, come desiderio di rivincita, potere, controllo, rappresaglia o vendetta. La ragione è considerata dall’autore valida per uccidere. In tal caso l’autrice di reato mette in atto “Tecniche di disimpegno morale” che neutralizzano gli scrupoli etici, come, nello specifico, quella della Giustificazione morale (aver obbedito a motivazioni moralmente elevate , es. «L’ho fatto per la mia famiglia»). L’anziana signora in questione intravede l’omicidio come estrema soluzione per i suoi problemi economici, decide che la vittima deve morire in quanto la sua sopravvivenza pone ostacoli troppo grandi alla tranquillità materiale della famiglia: ammazzare il compagno invalido avrebbe permesso al figlio di ereditare dall’anziano l’appartamento in cui viveva e che l’amministratore di sostegno stava mettendo in vendita. Ma occorreva un metodo rapido, sicuro ed indolore per non destare sospetti in famiglia. Analizziamo nel dettaglio le fasi di concretizzazione dell’intento omicidiario nella 79enne riminese. Il primo step consiste nella nascita di una pulsione-motivazione omicidiaria (legata all’ottenimento di guadagni materiali come l’eredità e a possibili vantaggi afferenti alla sfera psicologica dell’individuo – vendetta, desiderio di rivincita, rivalsa- per cui la ragione è considerata dall’autore valida per uccidere); la seconda fase è quella della fantasia omicidiaria (e’ il momento in cui l’idea dell’omicidio si materializza nella mente; il soggetto comincia a intravedere l’omicidio come una delle possibili soluzioni per soddisfare la propria pulsione-motivazione); il terzo step corrisponde all’anticipazione mentale degli effetti dell’azione omicida (Il soggetto valuta vantaggi e svantaggi, “costi-benefici” derivanti dal passaggio all’atto della fantasia e sulla base di essi prende una decisione). L’anziana decide di compiere l’omicidio ed inizia allora a pensare quando e come farlo, entrando, così, nella fase della progettazione che può essere di durata variabile poiché il soggetto deve studiare una circostanza favorevole, gli strumenti adatti – se ad es. costruire uno strumento per uccidere (un cibo avvelenato) – lo specifico orario, avere la necessità di un periodo di attenta osservazione delle abitudini quotidiane della vittima. A questo punto è pronta per l’esecuzione dell’omicidio precedentemente fantasticato. Ha dalla sua parte la condizione di integrale passività e dipendenza della vittima e delle cure che deve prestargli; sceglie quindi la modalità dell’avvelenamento, di facile somministrazione, nella convinzione di poter indurre a ritenere l’accaduto esito di una morte naturale. Gli inquirenti arrivano però prima della somministrazione dell’ ”ultimo” boccone, liberando il “topolino” dalla trappola in cui era stato abilmente chiuso. L’anziana compagna è stata denunciata per tentato omicidio aggravato. E’ evidente il grado di premeditazione, volontarietà, intenzionalità, pianificazione e razionalità del progetto, ma, per via della sua veneranda età e per la collaborazione data agli investigatori, la donna non sarà disposta in misura cautelare detentiva…

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