L’attore si impegna, nel suo dialogo con il pubblico, a mostrare una galleria di mostri sacri per evidenziare la loro capacità di cogliere, in modo breve e folgorante l’essenza degli argomenti che hanno sempre costituito il terreno di ricerca per tentare di dare risposte alle domande ontologiche che da sempre muovono il mondo
di Giovanni Petta
CAPRACOTTA. “Io adoro la sintesi. Sarò bre” di Maurizio Santilli è uno spettacolo che si affina con gli anni. È un discorso che procede parallelamente alla vita dell’autore, che incontra cose e persone nuove, situazioni impreviste e imprevedibili; e su tutto ciò si adagia camaleonticamente, si interroga di nuovo, anche per quegli argomenti che sembravano aver avuto risposte definitive, produce ulteriori osservazioni della vita, visioni del mondo aggiornate, prospettive che partono dalla realtà contemporanea e che vanno verso un futuro sempre più difficile e complicato.
Tutto ciò avviene per la caparbia ricerca di Maurizio Santilli che, da anni, studia gli umoristi: quegli autori – spesso giornalisti di cronaca, di sport e di costume – dotati di acume e di cinismo, di lucidità e speranza, che non hanno avuto paura di dire a loro stessi e ai loro lettori che la vita è ciò che è, ‘un insaccato di angelo e bestia’ per usare un verso di Nicanor Parra.
Così l’attore si impegna, nel suo dialogo con il pubblico, a mostrare una galleria di mostri sacri del genere – Petrolini, Campanile, Flaiano ma anche Sordi, Gaber e Sandro Viola – per evidenziare la loro capacità di cogliere, in modo breve e folgorante – ecco spiegato il titolo dello spettacolo -, l’essenza, il nucleo, l’elemento fondamentale degli argomenti che hanno sempre costituito il terreno di ricerca per tentare di dare risposte alle domande ontologiche che da sempre muovono il mondo: chi siamo? Da dove veniamo? Che cos’è la vita? Che cos’è la morte? Cos’è l’amore?…
Utilizzando l’opera dei pensatori che ha amato – da Pirandello a Freud, da Longanesi a Wilde – Santilli guida il suo pubblico lungo un percorso di consapevolezza. La risata, il sorriso amaro e appena accennato, la stessa amarezza che rimane, come fosse il retrogusto di un liquore immaginato dolcissimo, sono gli strumenti che l’attore consegna agli astanti per interrogare e interrogarsi, mentre si divertono, per cercare se stessi e magari trovarsi.
In tale impresa, la lingua e i dialetti assumono un ruolo decisivo e Santilli corre dal Veneto alla Sardegna, dalla Calabria a Pratola Peligna, da Napoli a Roma, per misurarsi con le inflessioni, le cadenze, l’apertura e la chiusura delle vocali. E non è, questo, un lavoro fine a se stesso perché nelle peculiarità di ogni espressione linguistica, l’autore-attore trova l’anima di quel popolo e di quel territorio.
La chitarra accanto, per brevi scorribande nella musica di ogni tempo – “Innamorati a Milano”, “Emozioni”… – e per dispiegare la poesia più morbida e tonda accanto a quella spigolosa ma non meno importante e presente negli aforismi degli umoristi citati. Divertimento e riflessione. Immaginazione e realtà. Ossimoro e paradosso di un Maurizio Santilli che si è fatto trovare in forma al rientro dal periodo di pausa dovuto alla pandemia.
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