Riceviamo e pubblichiamo
di Giulia Abbati
Nell’ultimo mese abbiamo avuto la necessità di recuperare centinaia di anni di storia per poter avere un’idea più chiara su quale senso avessero le terribili immagini dal Medio Oriente che ci hanno tolto il sonno. La questione non è riassumibile in pochi punti, ma cercando un filo narrativo: il popolo di Israele, da sempre senza patria, nel ’48 ottiene uno Stato di diritto, ma a scapito degli abitanti della Palestina. I due popoli si trovano a dover condividere lo stesso territorio e a confermare il fallimento del genere umano quando entrano in gioco gli interessi economici e territoriali.
In un mondo ideale, gli Israeliani sarebbero potuti rientrare in quel territorio ringraziando dell’accoglienza e iniziando un nuovo cammino della loro storia consapevoli della condizione di sottomissione al mandato britannico che i musulmani avevano subìto fino a quel momento storico; i Palestinesi avrebbero potuto usare il dono dell’empatia e accogliere un popolo devastato dalla Seconda guerra mondiale, un popolo che aveva collezionato sofferenze, proprio come era stato per loro degli ultimi decenni di due secoli fa. Sappiamo che ciò non è stato per vari motivi: Israele considera da sempre suoi quei territori, ha il diritto di esistere e il diritto di difendersi; gli arabi non avevano intenzione di dividere le loro terre e accettare altri ospiti, soprattutto dopo essersi liberati degli inglesi.
Nella lettura di queste righe il 99% dei lettori ha dissentito con l’una o l’altra affermazione. Ora, l’operazione più sbagliata che noi, per un fortuito caso non coinvolti direttamente in questo incubo, possiamo fare è schierarci, atteggiamento già assunto dalla maggior parte degli Stati. Ad oggi non ha più senso tenere per l’una o l’altra parte perché le dinamiche si sono susseguite a ritmi di brutalità insostenibile da tutte e due le fazioni. Dati alla mano, dal 1948 (anno di assegnazione delle terre in Medio Oriente agli Israeliani dall’ONU) si sono indistintamente seguiti attacchi degli arabi, risposte di Israele, soluzioni kamikaze, stermini senza criterio e guerre sanguinarie. Negli ultimi anni, benché generalmente la stampa occidentale tenda a non darne notizia, gli Israeliani hanno iniziato a colonizzare anche i territori assegnati agli arabi e a ghettizzare il popolo musulmano che è stato relegato soprattutto in zone mestamente note alle cronache come la striscia di Gaza e la Cisgiordania. In particolar modo Gaza è detta “prigione a cielo aperto”, dove spesso vengono staccate da Gerusalemme le utenze e le risorse a milioni di persone confinate in un muro invalicabile costruito per il loro contenimento, costrette a subire volenze inimmaginabili.
Il popolo di Israele non se la passa meglio: vittime di numerosi attacchi di matrice terroristica negli anni, i ragazzi sono costretti ad arruolarsi nell’I.D.F. (l’esercito israeliano) noto per le brutalità che infligge ai palestinesi, (che hanno portato Israele a vantare il più alto numero di violazioni dei diritti umani nel mondo da parte dell’ONU) a tal punto che molti alla fine della leva obbligatoria, sono costretti a convivere con disturbi post traumatici o addirittura ad arrendersi al suicidio, coinvolgendo ovviamente intere famiglie a sprofondare nel dolore.
Dal 7 ottobre, Hamas (associazione di difesa nata ai fini di proteggere e difendere la Palestina) è oggi indicata come il nemico numero uno tra le associazioni terroristiche, perché in tal modo ha deciso di agire: bombardando Israele e causando morti tra i civili e rapendo centinaia di ostaggi (sempre i civili) appoggiata da alcuni Paesi confinanti. Israele, supportata da tutto il mondo occidentale, sta rispondendo bombardando in modo durissimo soprattutto le strutture pubbliche a Gaza, e si prepara ad un definitivo attacco da terra, già iniziato da pochi giorni. Il governo di Israele sta attaccando indistintamente tutto il territorio e tutta la popolazione di Gaza, non solo le cellule di Hamas, ma soprattutto i civili.
Hamas ha in mano ostaggi stremati e in parte morti; Israele si sta macchiando di genocidio (proprio quello che 80 anni fa subirono) e numerose sono le manifestazioni pro popolazione palestinese in tutto il mondo.
Entrambi, dunque, stanno uccidendo innocenti.
È questo l’unico dato su cui dovremmo riflettere e che dovrebbe portarci a non prendere una posizione ma a voler lottare per ottenere un immediato “cessate il fuoco”. Israele è ormai avvolta dall’ombra del governo sionista che vuole solo affermare la sua identità ad ogni costo, ma esistono tanti Ebrei che condannano gli attacchi del loro governo ai musulmani ed esistono tanti Palestinesi che non avrebbero mai voluto un attacco così forte di Hamas, un attacco che avrebbe portato alla distruzione di Gaza (benché parte della stampa si dedichi a dipingere il popolo islamico solo come sostenitore del terrorismo).
Sono queste due parti che dovrebbero incontrarsi per creare davvero una possibilità di pace, come tentarono di fare Rabit e Arafat nel 1996, ma tutti sappiamo come è finita: il presidente israeliano che aveva quasi trovato un accordo di pace con quello palestinese, venne ucciso dagli estremisti sionisti.
L’azione che al meglio riassume questa necessità è quella che identifichi i tanti Ebrei che mal sopportano le decisioni dell’attuale stato d’Israele e che soffrono allo stesso tempo gli attacchi che ricevono, e i tanti Palestinesi che non condividono la strategia di Hamas. Dobbiamo far dialogare e questi due mondi e supportarli se vogliamo dirigerci verso la pace, non dobbiamo schierarci o cercare i colpevoli. Possiamo invece, prima di tutto informarci da tutti i canali possibili per conoscere la verità di entrambi i popoli ed avere una visione di cosa succede a Tel Aviv come a Gaza, possiamo sensibilizzare su questo conflitto quanto più possibile, ma soprattutto possiamo sperare per la fine immediata di questo incubo, che sembra assumere toni sempre più cruenti ogni giorno che passa, senza giocare al gioco delle colpe o a tenere per la vittoria di uno sull’altro. Ma le nostre forze si fermano qui, è necessario ovviamente l’intervento concreto dell’ONU e delle grandi potenze del mondo affichè fermino questo massacro e non lo sostengano.
Lo scrittore Amos Oz scriveva: nel mio mondo la parola compromesso è sinonimo di vita. Dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità, né idealismo, né determinazione e nemmeno devozione. Il contrario di compromesso è morte.