Gli esperti spiegano come si combattono le goccioline infette. Mascherine sì, anche se non bastano


Trasmissione aerea del Covid-19? Sì, è possibile attraverso le particelle emesse da persone positive al virus che rimangono sospese nell’aria. E questa potrebbe diventare una delle frontiere della lotta alla pandemia. Dopo la lettera di 239 scienziati di 32 Paesi, l’Organizzazione mondiale della sanità ha ammesso che il problema esiste.

Lo riferisce il Corriere della Sera. “Ci sono alcune specifiche condizioni in cui non si può escludere la trasmissione aerea, soprattutto in luoghi molto affollati, chiusi. Ma le evidenze vanno raccolte e studiate” ha sottolineato Benedetta Allegranzi, responsabile tecnico dell’Oms per il controllo delle infezioni.

I 239 scienziati, tra cui l’italiano Giorgio Buonanno, professore ordinario di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi di Cassino e alla Queensland University of Technology di Brisbane (Australia), chiedono di rivedere o integrare le linee guida.

“L’Oms – spiega il Corriere – ha ribadito che il coronavirus si diffonde soprattutto per droplet di dimensioni rilevanti che, una volta emesse dalle persone infette attraverso tosse e starnuti ma anche durante la semplice respirazione o mentre il soggetto parla, cadono rapidamente a terra. Ma anche le particelle più piccole possono infettare le persone e dunque una corretta ventilazione degli ambienti e i cosiddetti filtri facciali (mascherine N95, FFP2, FFP3) sarebbero essenziali negli ambienti chiusi.

La trasmissione aerea del contagio avviene per inalazione dell’aerosol emesso da un soggetto infetto (goccioline di diametro inferiore a 10 micron). Per avere il contagio è però necessario inalare un’adeguata quantità di carica virale, ovvero una dose infettante. Inoltre questo virus ha un tempo di dimezzamento della carica virale di circa un’ora”.

Come noto esiste una differenza tra goccioline grandi che cadono a terra e quelle più piccole che restano nell’aria. “Le goccioline più piccole (aerosol) sono invece soggette ai fenomeni di evaporazione e rimangono in sospensione in aria per tempi molto lunghi: hanno quindi la possibilità di muoversi per tratti molto più lunghi rispetto ai droplet –ha evidenziato l’esperto -. I principi che spiegano teoricamente la dinamica dell’aerosol sono noti da tempo e sono validi per molti altri virus. Durante il corso di una epidemia è sempre difficile trovare dei casi che provino il contagio per via aerea: questa analisi retrospettiva viene svolta solitamente a fine epidemia (come nel caso della Sars). Abbiamo però numerosi casi ed evidenze che dimostrano chiaramente come questo virus possa contagiare per via aerea”.
Secondo Buonanno il rischio di contagio esiste anche in questo caso “ma notevolmente ridotto. Il soggetto infetto emetterà una minore carica virale e, quindi, in condizioni di buona ventilazione e ridotti tempi di esposizione, il rischio sarebbe basso”.

E poi i luoghi del contagio che risultano essere, ha ribadito l’esperto, gli ambienti chiusi di dimensioni ridotte e con limitata ventilazione”. Il rischio individuale può essere valutato in base al modello teorico messo a punto dagli esperti. “Il rischio zero non esiste – si legge ancora nell’intervista al Corriere della Sera -, ma accanto alla ventilazione e alla riduzione dell’emissione (evitando di parlare ad alta voce, per esempio) l’uso corretto delle mascherine chirurgiche può ridurre ulteriormente le possibilità di contagio da aerosol, anche se non in modo rilevante. Questo perché le mascherine chirurgiche nascono per particelle di dimensioni maggiori di 10 micron. A differenza delle mascherine chirurgiche, i filtri facciali (FFP2, FFP3, N95) hanno un’efficienza di filtrazione molto elevata, anche per le tipiche dimensioni dell’aerosol”.

Per quel che concerne il distanziamento “è condizione necessaria ma non sufficiente per non avere contagi per via aerea negli ambienti chiusi. Con il distanziamento si evita di entrare in contatto con i droplet, le goccioline più grandi, che cadono in prossimità del soggetto infetto. Non poi c’è alcuna relazione tra la diffusione del contagio da Sars-CoV-2 e il particolato atmosferico. In ambienti aperti il contagio non può trasmettersi per via aerea a causa dell’elevata ‘diluizione’ della carica virale: è impossibile, per il soggetto sano, inalare una sufficiente dose infettante”.

Infine per l’esperto l’aria condizionata “non ha alcun ruolo nella trasmissione del contagio per via aerea”.

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