La sentenza della Corte d’Assise di Frosinone per l’assassinio della 36enne di Cerro al Volturno. Il pm aveva chiesto 23 anni


FROSINONE/ISERNIA. Ventiquattro anni di carcere: questa la condanna inflitta dai giudici della Corte d’Assise di Frosinone nei confronti di Pietro Ialongo, il 39enne reo confesso dell’omicidio di Romina De Cesare, la 36enne di Cerro al Volturno uccisa con 14 coltellate nella casa dove i due vivevano nel centro storico del capoluogo ciociaro.

Foto Corriere.it
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Questa mattina il pubblico ministero Vittorio Misiti, nel corso della sua lunga requisitoria, ha chiesto per l’imputato 23 anni. Il magistrato gli ha riconosciuto le attenuanti generiche in quanto dopo l’arresto, avvenuto il 3 maggio di due anni fa, si sarebbe subito mostrato collaborativo.

Di diverso avviso gli avvocati di parte civile. I legali hanno contestato le attenuanti generiche in quanto la condotta assunta dall’imputato era riconducibile allo stalking e quindi tale comportamento avrebbe costituito una aggravante.

Dopo la camera di consiglio, la lettura del verdetto.

L’omicidio – come noto – risale alla notte tra il 2 e il 3 maggio 2022. A ricostruire i contorni della tragedia sono state le Procure di Frosinone e Latina con gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Frosinone, del Comando Carabinieri Stazione di Sabaudia, del Reparto Operativo, nucleo investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Latina.

Parti civili nel processo sono stati il papà della vittima (assistito dall’avvocato Danilo Leva) e il fratello (rappresentato dal legale Fiore Di Ciuccio)  e l’associazione Liberaluna Onlus, assistita dall’avvocato Maria Calabrese.

La difesa dell’imputato è stata invece affidata agli avvocati Vincenzo Mercolino e Riccardo Di Vizio.

 “Il risultato ha confermato l’impianto accusatorio così come formulato dall’Ufficio di Procura – ha detto all’Ansa Danilo Leva, avvocato della famiglia De Cesare – e che noi abbiamo sostenuto, anche oggi in discussione: confermato non solo l’omicidio, ma anche aggravato dallo stalking, dalla convivenza e dalla relazione affettiva. Poi, prendiamo atto della la richiesta che la Procura ha avanzato per il riconoscimento delle attenuanti generiche all’imputato che la Corte d’Assise ha accolto in regime di equivalenza con le contestate aggravanti. Sono soddisfatto del lavoro svolto, poi di fronte a fatti così gravi, crimini così efferati, non ci sono vincitori o vinti. È un delitto non passionale, ma di potere della relazione di dominio di un uomo su una donna, tesi confermata dalla risultanze istruttorie”.

In aula c’erano anche il papà e fratello di Romina De Cesare: “Erano visibilmente commossi – ha riferito l’avvocato Leva – mi hanno detto: giustizia è fatta, come sempre quando c’è sentenza di condanna. Credo che Romina, così come tutte le vittime di femminicidio, non può essere considerate una delle tante, il rischio è che cali il sipario dell’indifferenza su una vicenda di questo tipo, e questo non è giusto. Va fatta una riflessione collettiva: 150 vittime di femminicidio all’anno, pone tutti di fronte alla necessità impellente di fare qualcosa. Non essere indifferenti perché Romina poteva essere la figlia o la sorella di ciascuno di noi”.