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Isernia, ricorso in Cassazione per evitare il default

ISERNIA. L’ultima chance per il Comune di Isernia si gioca in Corte di Cassazione. L’amministrazione guidata da Luigi Brasiello ha infatti deciso di tentare il ricorso presso la Suprema Corte contro la sentenza n. 2400/2014 della Corte d’Appello di Roma del 9 aprile scorso, legata al famigerato ‘lodo Spinosa’. Il verdetto, com’è noto, condanna Palazzo San Francesco a pagare oltre 5 milioni di euro nella causa civile contro la ditta Spinosa Costruzioni, che si trascinava da lunghi anni.
L’unica possibilità di evitare il tracollo finanziario – originato da un procedimento avente oggetto l’impugnativa proposta dal Comune di Isernia avverso il lodo arbitrale depositato il 4 maggio 2010, di cui l’amministrazione aveva chiesto l’annullamento – risiede, dunque, nei giudici del Palazzaccio.

LE ORIGINI. La vicenda inizia negli anni Novanta, con l’azienda edile che espleta parte dei lavori per l’acquedotto comunale (realizzando i due serbatoi di Colle dei Cerri, nei pressi di Valle Soda, e di San Lazzaro, oltre alle condutture che vanno dal quartiere medesimo alla piana di Carpinone). Durante l’esecuzione degli stessi, Spinosa avanza una corposa serie di riserve tecniche, in base alle quali l’impresa sostiene di avere diritto alla maggiorazione del prezzo pattuito. Ultimate le opere, la ditta sembrava intenzionata a proporre una transazione con la Giunta allora in carica. Ma dell’accordo si sono perse le tracce.

LE AZIONI DELLA GIUNTA MELOGLI. Passano gli anni, cambiano i sindaci e nel luglio 2009 la patata bollente finisce nelle mani dell’ex primo cittadino Gabriele Melogli. Spunta una richiesta di ricorso a un lodo arbitrale. Si tratta di un procedimento stragiudiziale per la soluzione di controversie civili e commerciali, svolto mediante l’affidamento di un apposito incarico a uno o più soggetti terzi, normalmente in numero di tre, di cui due scelti da ciascuna delle parti. Da Palazzo San Francesco, però, non si scomodano più di tanto, anzi. Forti di un decreto legge (il cosiddetto Milleproroghe 2009) che fissava il divieto di ricorrere agli arbitrati negli appalti pubblici, dall’ente rifiutano l’arbitrato. L’abolizione era stata fortemente voluta dall’ex ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro, per mettere un freno alle ingenti spese sostenute dallo Stato per questo tipo di contenziosi. Infatti, secondo l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, i giudizi arbitrali comportano costi molto alti per le pubbliche amministrazioni. E inoltre, laddove non sia intervenuta una transazione, le stesse amministrazioni sono risultate soccombenti nella grande maggioranza dei lodi (la percentuale si aggira intorno ai due terzi del totale).

IL LODO DEL 2010. Dal Comune pentro, tuttavia, fanno male i conti. In sede di conversione del decreto, la norma riguardante l’abolizione degli arbitrati è eliminata e viene ripristinato lo status quo ante. Ciononostante, le informazioni in possesso della struttura tecnica e dell’ufficio legale di Palazzo San Francesco fanno ben sperare l’amministrazione Melogli. Ma va male ancora una volta. Siamo nel maggio 2010 quando negli uffici municipali si scatena un terremoto. Arriva la decisione scaturita dall’arbitrato e il Comune risulta soccombente: sono state accolte tredici riserve tecniche della ditta Spinosa, che può vantare un credito di oltre 3,5 milioni di euro rispetto alla richiesta iniziale di 5,5 milioni. L’ex primo cittadino annuncia di voler dare battaglia, negando qualsiasi responsabilità sulla vicenda: “Noi non c’entriamo nulla con questa faccenda – affermava con fierezza Melogli – Siamo stati costretti a subirne le conseguenze, ma non ci faremo trovare impreparati. Dover sborsare una somma del genere significherebbe la crisi”. Con conseguente fine degli investimenti e paralisi amministrativa.

IL RICORSO IN APPELLO. Passano quattro anni e il Comune impugna la decisione dell’arbitrato dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, competente sul caso. Il 25 marzo scorso la pronuncia, con la sentenza che viene depositata il successivo 9 aprile: Comune condannato a pagare oltre 5 milioni tra lavori, interessi e rivalutazioni. Il Comune aveva chiesto la nullità del lodo sostenendo di essere semplice concessionario e dunque invocando la nullità della clausola arbitrale, che avrebbe così impedito alla ditta Spinosa di chiamare l’amministrazione dinanzi all’arbitro. Ma i giudici capitolini hanno rigettato l’appello, dichiarando che il Comune, con la sottoscrizione del contratto, avesse assentito a tale clausola.
Ora il ricorso in Cassazione: ultima chance, per Brasiello e sodali, per evitare di inabissarsi.

 

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