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“Il terremoto non è una fiction”: a Isernia giornalisti a confronto

ISERNIA. Raccontare tragedie come il terremoto, senza spettacolarizzare il dolore e mettendo sempre in primo piano la verità, quella autentica, per riferire in maniera oggettiva quanto sta accadendo. Un ruolo non semplice, quello della stampa, in questi casi. Perché il dramma non è una fiction e perché il giornalismo non è un social.

Di questo si è discusso ieri sera a Isernia nel corso del convegno ‘Il terremoto raccontato dai media, il ruolo dell’informazione nella tragedia’, organizzato in piazza Celestino V dall’associazione ‘Francesco Casale’, nata in ricordo del giornalista isernino scomparso improvvisamente tre anni fa.

A fare da relatori Giustino Parisse, caporedattore de Il Centro e Luca Prosperi, giornalista dell’Ansa. Sul palco si sono confrontati con Valentina Ciarlante (Teleregione) ed Enzo Luongo (Ansa), su tematiche purtroppo sempre attuali, spaziando da quanto accaduto a L’Aquila, Amatrice e, ancor prima, a San Giuliano di Puglia. Lo hanno fatto raccontando la loro esperienza di cronisti sul campo.

Parisse, che ha vissuto in prima persona il dramma del 2009, ha evidenziato soprattutto la necessità di continuare a raccontare, perché il terremoto non è solo quello che accade nei giorni immediatamente successivi al sisma“Io sono quello che chiamano ‘i parenti delle vittime’ – ha detto – e allo stesso tempo sono anche un giornalista. Della tragedia che mi ha segnato ho fatto quasi una missione, proprio perché faccio il giornalista. La mia missione è quella di continuare a raccontare il terremoto, perché noi giornalisti pensiamo che raccontare il terremoto sia farlo nei quattro, cinque giorni successivi. In realtà noi dovremmo raccontare il terremoto prima, durante e dopo. Io faccio questo. Lo faccio ancora adesso. Continuo a raccontare il terremoto dell’Aquila che non è finito. Sto cercando ancora di tenere viva l’attenzione sul terremoto, non tanto di Amatrice (che è Lazio), in quanto il terremoto ha colpito anche alcuni comuni dell’Aquilano, dove ci sono problemi grossi. Non ci sono stati crolli e vittime, ma ci sono attività commerciali che chiudono e turisti che scappano”.

Il giornalista de ‘Il Centro’ ha poi evidenziato la complessità del sisma. “Non è solo il momento, la vittima, il crollo – ha spiegato – oppure quello che vediamo i primi giorni che, secondo me, è molto ‘spettacolo’ e poca concretezza. Sto cercando di fare questo: ogni volta che mi capita di partecipare a iniziative di questo genere, cerco di focalizzare l’attenzione su cose che normalmente magari non vengono considerate e che invece sono fondamentali. La prevenzione, naturalmente, l’attenzione verso i territori colpiti dal terremoto. Perché altrimenti il sisma diventa come una fiction: sei puntate e poi finisce. Molti pensano che L’Aquila è stata ricostruita e che va tutto bene. In realtà all’Aquila è stato ricostruito poco, ci vorranno ancora molti anni. E c’è gente che sta ancora nelle casette che io chiamo baracche: questa è la realtà”.

“L’unica maniera per fare buona informazione è la verità” ha poi sottolineato Prosperi. “E la verità – ha affermato –  è avere gli occhi e raccontare quello che si vede. E questo è uno degli aspetti più delicati e più complicati, perché specie quando accadono queste grandi tragedie si innesca un meccanismo per cui il potere, nel suo complesso, entra nella verità e cerca di gestire la verità. Nel caso di Amatrice, come nel caso dell’Aquila, non c’è dubbio che bisognava raccontare quello che stava succedendo. Siamo arrivati sul posto tra i primi e abbiamo cercato di far capire che era una tragedia vera, autentica, mentre si brancolava un po’ nel buio. Direi che raccontare un terremoto è soprattutto non mettere il microfono sotto la bocca di una persona e chiedergli come sta, ma è raccontare visivamente quello che sta succedendo. Cioè raccontare veramente quello che sta avvenendo. Non dico prendendosi dei rischi, ma quantomeno cercando di onorare il mestiere, sapendo che tu hai una funzione pubblica in quel momento, cercando di fare capire che non è una partita di pallone. Si ha il dovere di spiegare a una nazione quello che realmente sta accadendo”. 

In basso la fotogallery di Pino Manocchio.

 

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