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Agricoltori esasperati dall’invasione dei cinghiali, Nola: “Inutile la sola caccia selettiva”

Le misure restrittive e di distanziamento in atto da due mesi hanno finito per aggravare l’emergenza ungulati sul territorio regionale. Una problematica per la quale il consigliere regionale 5Stelle chiede di adottare al più presto provvedimenti di ampio respiro rispetto alla sola caccia selettiva. Sull’argomento interviene anche la Coldiretti Molise che sollecita le associazioni ambientaliste ad abandonare atteggiamenti faziosi e proporre soluzioni finalizzate a scongiurare una crisi irrreversibile del settore


CAMPOBASSO. Gli agricoltori molisani  sono sempre più esasperati dalle difficoltà economiche che caratterizzano il settore e dalle mancate risposte delle istituzioni. Secondo Vittorio Nola, portavoce 5Stelle in consiglio regionale, per comprendere la situazione drammatica in cui versa il settore basta citare un dato: “nel solo 2019 sono state circa 200 le aziende agricole che hanno chiuso i battenti, perché dimenticate dal governo regionale. E questo è il frutto della mancanza di strategia e coordinamento delle scelte fatte da questa classe dirigente. Uno dei problemi troppo spesso ignorato, che ho provato a portare all’attenzione della maggioranza con specifici atti, è quello dei cinghiali. Problema che si è necessariamente acuito con il distanziamento sociale delle ultime settimane. Mentre, infatti, è venuta meno la presenza fisica delle persone nei campi e sulle strade, queste specie selvatiche hanno proliferato, invadendo gli spazi lasciati incustoditi e generando danni quasi incalcolabili per molti cittadini, in particolare per gli imprenditori agricoli e per i coltivatori. Categorie queste ultime che chiedono da tempo soluzioni efficaci alla ormai atavica questione. Ciò che cerco di far comprendere al governo regionale – sottolinea il portavoce M5S – è che le soluzioni non passano attraverso i fucili, è bene rimarcarlo. Non si risolve il problema dei cinghiali con la sola caccia selettiva, ma con strategie che abbracciano diversi settori e, di conseguenza, diversi assessorati: dal turismo, alle politiche agricole, passando per la creazione di quella che da tempo chiamo ‘la filiera delle carni selvatiche’. Le questioni da affrontare e risolvere quanto prima, sono sostanzialmente tre: risarcimenti, contenimento della specie, valorizzazione e commercializzazione delle pregiate carni. Innanzitutto, le aziende agricole in ginocchio dovranno essere risarcite per i danni causati dagli ungulati: sono tante le pratiche risarcitorie già concluse e asseverate dagli uffici regionali, ma devono essere finalmente liquidate, senza attendere i costosi decreti ingiuntivi. In seconda istanza, bisogna agire di pari passo col governo nazionale ben sapendo che in commissione agricoltura alla Camera è in atto una revisione della normativa nazionale sulla caccia, la Legge n.157 del 1992. Nel frattempo però, la stessa Regione dovrebbe mettere in campo un progetto specifico per limitare la proliferazione degli ungulati”.

Secondo Vittorio Nola “si potrebbe concordare un piano d’azione con tutti gli altri organismi deputati: dalle guardie forestali alle province, dalle Asl a veterinari e macellai. La caccia è solo uno strumento al servizio del più ampio obiettivo di contenimento della specie. Ma va comunque normata a dovere e bisogna farlo entro il mese di luglio, con un adeguato calendario venatorio. Ultimo provvedimento, ma non meno importante, è la costituzione di una vera e propria filiera. Sono in tanti gli operatori del settore a chiederlo e in questi anni – aggiunge Nola – li ho ascoltati e ho fatto mie le loro istanze. Basterebbe avere l’umiltà di prendere spunto dalle best-practices diffuse sul territorio nazionale: mi viene in mente l’esempio del Cilento, dove la Regione Campania ha contribuito a creare una specifica filiera delle carni selvatiche, imitando la Regione Umbria, il più grande esportatore italiano. Per fare ciò, bisogna però capire cosa vuol dire creare una filiera. La materia prima c’è, anche in abbondanza, i controlli sanitari devono essere garantiti e, quindi, non possiamo affidare la distribuzione ai singoli commercianti. Gli stessi macellai professionali, infatti, auspicano che la Regione metta loro a disposizione, in comodato, un apposito macello per il trattamento specialistico delle carni, non solo in alcuni periodi dell’anno. Questo darebbe continuità e regolarità al commercio delle pregiate carni degli ungulati, innescando un processo virtuoso. Solo implementando un progetto complessivo di filiera si potrà seriamente, una volta per tutte, trasformare un problema in una risorsa per l’economia molisana. Non si può più rimandare la questione e, come più volte rimarcato in Consiglio regionale, – conclude il consigliere del MoVimento 5 Stelle – sono disposto a fornire al governo regionale le soluzioni concrete che ho messo nero su bianco grazie al confronto costante sul territorio”.

Anche la Coldiretti Molise interviene sull’argomento penendo l’accento sulla “necessità di formulare proposte concrete, abbandonando la faziosità della critica fine a se stessa, rispetto a quanto è stato sino ad oggi messo in campo per cercare di arginare i gravissimi problemi creati dall’aumento incontrollato dei cinghiali.

Questo – dichiara l’organizzazione di categoria – non è più il tempo del no a prescindere; è giunto il momento di agire in maniera ferma per risolvere definitivamente un problema fuori controllo che sta annientando un intero settore produttivo della regione, quello primario, oggi più che mai indispensabile all’intero Paese.

E’ oramai sotto gli occhi di tutti  – aggiunge Coldiretti – che l’aumento smisurato del numero di cinghiali non si “limita” a causare la distruzione di campi e raccolti, portando sul lastrico decine di imprenditori, ma è diventato anche un problema di pericolosità sociale con interi branchi che aggrediscono le persone e provocano incidenti stradali a volte anche mortali.

Va, inoltre definitivamente sfatata – continua – la concezione secondo cui gli imprenditori agricoli mirano ai risarcimenti. I nostri agricoltori non cercano indennizzi, vogliono semplicemente essere messi in condizioni di lavorare e produrre, per l’intera collettività, in sicurezza; per questo il danno da fauna selvatica deve tornare ad essere un “minimo rischio d’impresa” e non, come è oggi, la calamità che distrugge le aziende e le costringe a chiudere.

Rimane ferma la volontà dell’organizzazione di veder riconosciuto, da parte del governo regionale, lo “stato di emergenza”, consentendo – conclude Coldiretti – l’adozione di strumenti straordinari per far fronte ad una situazione di per se stessa di carattere straordinario.”

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