Secondo Hereri “i dimessi hanno maggior rischio di sviluppare malattie respiratorie, cardiovascolari o legate al diabete”. E “per il prossimo futuro avremo problemi di sanità pubblica da prendere in carico”. Intanto, nel Regno Unito si registra la mutazione indiana
“Uno studio inglese recentemente pubblicato sul British Medical Journal ha documentato come una percentuale molto importante di pazienti dimessi venga ricoverato nuovamente, circa il 30%. Inoltre, complessivamente, i dimessi hanno maggior rischio di sviluppare malattie respiratorie, cardiovascolari o legate al diabete. Questo conferma che il virus attacca maggiormente i polmoni ma ha ripercussioni postume su tutto l’organismo”: queste le parole dell’epidemiologo Sergio Harari, direttore dell’Unità Operativa di Pneumologia dell’Ospedale San Giuseppe di Milano, intervenuto a TgCom24 in merito agli effetti a lungo termine del Covid.
I dati oggetto di studio riguardano i pazienti che, nella prima ondata, hanno contratto la malattia in maniera severa e che sono stati ospedalizzati in reparti di degenza normali o in reparti di cure intensive. “Tuttavia – specifica l’epidemiologo – non abbiamo al momento dati sui pazienti gestiti a domicilio. Quindi non sappiamo qual è il rischio per i pazienti che non hanno avuto bisogno di ospedalizzazione”. In ogni caso, Harari lancia un allarme: il fatto che il virus abbia ripercussioni postume su tutto l’organismo “comporta per il prossimo futuro dei problemi di sanità pubblica che andranno presi in carico”.
Intanto, dalla Gran Bretagna giunge notizia dell’accertamento di almeno 80 casi (tra Inghilterra e Scozia) di un’ennesima variante del virus: quella indiana (indicata con la sigla B.1.671), così chiamata in quanto ormai predominante nel Paese asiatico. Per i medici britannici – riferisce sempre TgCom – si tratta di “una variante d’interesse”, non di un’allerta vera e propria tenuto conto dell’impatto ancora limitato e circoscritto. Ma le preoccupazioni non mancano, perché questo ceppo presenta una doppia mutazione rispetto a quello originario e appare più facilmente trasmissibile, nonché meno suscettibile ai vaccini.
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