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La gravidanza in adolescenza

Il parere della dottoressa Capozza, psicologa e psicoterapeuta, sul recente evento di cronaca campobassana


di Francesca Capozza*

ISERNIA. L’evento relativo alla gravidanza della giovane adolescente campobassana non rappresenta in generale il primo caso, come la clinica ci illustra, considerando che in realtà non è così difficile poterla tenere nascosta.

francesca capozzaTale specifico avvenimento deve essere inquadrato all’interno della specificità ed estrema peculiarità della tappa del ciclo di vita attraversato: l’Adolescenza. Essa rappresenta la fase più difficile ed impegnativa dell’essere umano che si trova a doversi repentinamente misurare con numerose esperienze del tutto nuove e spesso ansiogene: i cambiamenti del corpo (che passa dai lineamenti infantili ai connotati dell’adulto), lo sviluppo della sessualità, dell’affettività, il processo di differenziazione con le figure genitoriali, l’inserimento nel gruppo dei pari, lo sviluppo della moralità, delle norme personali e del sistema di valori.

Il giovane si trova, spesso ‘disarmato’ (privo delle competenze psicosociali necessarie),a dover affrontare compiti evolutivi molto impegnativi: la gestione di una crescente autonomia, la ridefinizione del legame con i genitori (che dalla dipendenza materiale ed emotiva deve evolvere verso una sempre maggiore autonomia di pensiero, giudizio e comportamento) , la costruzione della propria identità, lo sperimentarsi nel gruppo dei pari (che ora diviene il principale punto di riferimento nel giovane), la capacità di assumersi gli impegni e le responsabilità che ci si attende da lui (in campo scolastico, familiare, comportamentale, ecc..). Pertanto il ‘disagio giovanile’ rappresenta una condizione naturale di difficoltà e di stress legata proprio al processo di crescita. La possibilità che un giovane abbia ritrosie a confidarsi con i genitori, ad aprirsi con loro e condividere i propri vissuti, timori, problematiche, che prenda da loro le distanze, che voglia rifugiarsi nella sua camera a porta chiusa, rientra perfettamente nella difficoltà di dover gestire un momento evolutivo in cui in realtà è centrale il lavoro di ‘distanziamento’ , di svincolo emotivo dalle figure genitoriali necessari per il processo di individuazione del giovane che prevede proprio che lo stesso cominci a pensare e gestirsi ‘da solo’.

Il riserbo e la chiusura nei confronti dei genitori è tipica dell’adolescenza e non tout court indicativa di qualcosa che non va. Il giovane è semplicemente impegnato a dare nuova forma al legame genitoriale che non si rompe, ma si trasforma dalla condizione di dipendenza a quella di autonomia. L’adolescente vive una tempesta di emozioni, inquietudini, apprensioni, dubbi, timori, paure, pensieri a cui l’adulto deve poter dare contenimento. La famiglia deve poter essere vissuta come ‘base sicura’, sempre presente, aperta, accogliente per fornire un ascolto non giudicante. Il giovane deve poter percepire la presenza di una rete di sostegno a cui riferirsi, fatta non solo dalla famiglia, con cui ripeto è in piedi un processo di individuazione e svincolo, ma anche dalla scuola, dal contesto amicale, dai consultori.

Ciò che dobbiamo fare è fornire al giovane una iniezione di fiducia nell’altro, aiutarlo a ‘sentire’ di potersi fidare, aprire e condividere i suoi pensieri, le sue inquietudini, le sue ansie con una rete sociale in grado di contenerli senza giudizi, aiutandolo a dar loro forma ed a trovare soluzioni. La famiglia in questione pertanto non deve sentirsi addosso eventuali sentimenti di colpa o vergogna, poiché non le possono appartenere, ma considerare l’evento come un nuovo punto di sviluppo, una opportunità di crescita di tutto il sistema, non solo familiare, che, ben gestito, potrà portare solo a nuovi equilibri, prosperi e funzionali.

*psicologa e psicoterapeuta

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