Francesca Capozza

L’esperta: “Consente di moltiplicare le proprie possibilità, di rendersi più competenti e potenti, di aprirsi al mondo ed alle esperienze ed opportunità che la vita offre”


di R.Francesca Capozza*

ISERNIA. Essere ottimista significa creare un’attitudine psicologica a giudicare favorevolmente la realtà ed a guardare al futuro con fiduciosa attesa.

Possiamo riconoscere un’ottimista da come spiega a se stesso i propri successi ed i propri fallimenti. Gli ottimisti attribuiscono il fallimento a dettagli che possono essere modificati in modo da garantirsi buoni risultati nei tentativi futuri. I pessimisti, invece, si assumono personalmente la colpa dell’insuccesso, attribuendolo ad aspetti o a circostanze durevoli che non hanno facoltà di modificare.

Tali spiegazioni sono profondamente diverse. La prima utilizza il fallimento per una costruttiva revisione della strategia adottata, in modo da poter sfruttare l’accaduto come punto di partenza per riprendere il cammino con nuovo e ragionato impegno; il secondo tipo di spiegazione utilizza il fallimento come punto di arrivo, una conferma del proprio disvalore, della propria incapacità e dell’inutilità di qualsiasi personale tentativo di riuscita.

Dinanzi ad una delusione, gli ottimisti tendono a reagire costruendo un piano d’azione o cercando l’aiuto ed il consiglio degli altri; l’insuccesso diviene occasione per attivare le proprie risorse e correggere il tiro della strategia d’azione impiegata.

I pessimisti, invece, reagiscono ai fallimenti disinvestendo completamente dal raggiungimento dell’obiettivo: ritengono di non poter far nulla per modificare le cose. Tale senso di impotenza li conduce ad un atteggiamento di ritiro e di disimpegno psicologico ed emotivo: non fanno nulla per risolvere il problema e ritengono che l’insuccesso sia attribuibile esclusivamente ad una personale e definitiva incapacità.

La chiave di volta e di “svolta” dell’ottimista consiste nel modo in cui reagisce emozionalmente ad una sconfitta. Il pessimista la interpreta dicendo a se stesso “Sono un vero fallimento”, quindi facendo una valutazione di sé. L’ottimista, invece, esegue una valutazione del comportamento e della strategia adottati, ovvero di qualcosa che si percepisce come sempre modificabile, dicendo a se stesso “Sto usando l’approccio sbagliato”.

Individuare la ragione del proprio fallimento non in se stessi, ma in qualche aspetto dell’evento (caratteristiche del proprio piano d’azione o del proprio interlocutore o della specifica situazione spazio-temporale) consente all’individuo di nutrire fiducia nelle proprie capacità di intervenire sull’evento stesso, di modificare la situazione e di volgerla al meglio.

L’ottimismo ed il pensiero positivo possono, pertanto, essere appresi.

Alla base di essi è il concetto di autoefficacia, ossia la convinzione di essere capaci di affrontare una situazione e di controllarne il risultato. Riconoscere le proprie competenze ed adoprarsi per metterle in campo, rafforza il senso di autoefficacia aumentando così la disponibilità dell’individuo a correre dei rischi e tentare imprese sempre più difficili. Raggiungere con successo i propri obiettivi aumenta il senso di efficacia personale che, a sua volta, sollecita l’individuo ad avere fiducia in sé e nelle proprie capacità, disponendolo ad impegnarsi nel perseguimento di nuovi obiettivi, dal cui ottenimento il senso di autoefficacia sarà nuovamente rafforzato.

Alimentare tale circolo virtuoso significa adottare un pensiero positivo che permette di aprire e non di chiudere, di aumentare e non di diminuire, di attivare e non di paralizzare, ovvero di moltiplicare le proprie possibilità, di rendersi più competenti e potenti, di aprirsi al mondo ed alle esperienze ed opportunità che la vita offre.

*psicologa-psicoterapeuta
specialista in Psicologia della Salute