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A Isernia impresa e sociale producono lavoro facendo del bene: ‘Adotta un posto in Lai’, l’esempio dell’azienda Izzi

Partito il progetto nato dalla collaborazione tra cooperativa Lai di Nino Santoro e Carlo Izzi: erogazioni liberali finalizzate all’assunzione di ragazzi disabili. Con un obiettivo ambizioso: stabilizzarli tutti e 25. Un’idea che bypassa il fallimento della legge 68 del 1999


ISERNIA. Nino Santoro, responsabile della cooperativa sociale ‘Lai-Lavoro anch’io’ di Isernia, ha un sogno: riuscire ad assumere, presso la struttura che guida, tutti i 25 ragazzi che la frequentano. Una struttura che si occupa dell’integrazione lavorativa di persone diversamente abili con insufficienza intellettiva a livello medio-grave da ormai quasi 20 anni. E un sogno che sta trovando primi riscontri con la realtà grazie alla sensibilità di un imprenditore locale che, nel sociale, ci crede per davvero. Al punto da istituire un marchio con il nome della propria azienda dedicato al settore: ‘Izzi per il Sociale’, di Carlo Izzi, un progetto destinato a coinvolgere anche altri imprenditori nel fare del bene dove c’è bisogno.

Izzi ha subito sposato, con profonda convinzione, il nuovo progetto lanciato dalla Lai: ‘Adotta un posto in Lai’, rivolto alle imprese locali. L’idea prende spunto dalla legge che prevede il collocamento mirato obbligatorio per i diversamente abili e si ispira, per certi versi, all’adozione a distanza. Due i lavoratori regolarmente impiegati presso la Lai e l’impresa Izzi ne sostiene il costo mediante erogazione liberale verso la cooperativa. “Ci siamo concentrati su 2 principi – spiega Santoro – In primo luogo, la trasparenza degli investimenti. In secondo, l’efficacia, per alleviare la cooperativa sociale del costo del lavoro che altrimenti non riuscirebbe a sostenere. In questo caso l’idea è stata condivisa con l’imprenditore Carlo Izzi, sempre attento al mondo del sociale, che ha voluto onorarci nel legare la sua immagine a questa struttura. Per noi, questo già vuol dire che in vent’anni di attività abbiamo lasciato un segno sul territorio”.      

Ma come è nato il rapporto tra i due? È Izzi a spiegarlo, con un entusiasmo travolgente: “Già da tempo, come azienda, abbiamo riflettuto sulla necessità di restituire al territorio qualcosa del valore che viene generato al nostro interno. Il tema della responsabilità sociale non è nuovo per noi. L’anno scorso per esempio c’è stato l’evento della donazione delle ferie a una nostra dipendente bisognosa per gravi motivi di salute del marito, con una grande solidarietà interna. Allora mi sono chiesto: si può fare qualcosa affinché questa solidarietà, questo spirito positivo possano essere rigenerati? Quindi mi sono guardato intorno: conoscevo la Lai e li ho contattati chiedendo come potessi rendermi utile. L’atteggiamento più costruttivo mi sembrava venire qui in punta di piedi e cercare di offrire le mie risorse”.

lai3Il tema del lavoro dei ragazzi disabili, come spiega Santoro, nasce del resto da una ragione ben precisa: il fallimento della legge n. 68 del ’99, che disciplina le ‘Norme per il diritto al lavoro dei disabili’. “Noi abbiamo già fatto questo tipo di esperienza nel 2009 – racconta – inserendo due disabili in altrettante aziende di amici attraverso tale legge. Le convenzioni con i centri per l’impiego c’erano, ma eravamo agli albori e c’erano difficoltà operative. Ricordo due ragazzi con la sindrome di Down che furono assunti nel 2000: uno dei 2 rimase nel magazzino e lo incendiò, una cosa che noi non avevamo immaginato potesse succedere. E non è stato per incuria o cattiveria, ma per emulazione: questo ragazzo vedeva alcuni dipendenti che erroneamente e maldestramente, per tagliare le corde che tenevano legati dei cartoni, usavano l’accendino. E lui, in quella situazione, non aveva controllo e ha provato a fare lo stesso, perché voleva fare il suo lavoro. Chiaramente, mi chiamò l’amico imprenditore per fermare tutto”.

La legge 68, si diceva. “Un fallimento – continua Santoro – perché non prevede tutele, né investimenti, né che l’impresa possa essere aiutata; neppure un accompagnamento psicologico adeguato sia per il disabile che per l’azienda che lo ospita. C’è tutta una serie di cose che una struttura deve verificare: ma la legge non lo permette, perché nel caso di una psicologa, ad esempio, la professionalità deve essere pagata dalla cooperativa sociale, ed è un costo che quest’ultima non si può permettere. Io non posso pagare gli stipendi a una persona per andare ad accompagnare un ragazzo che fa il tirocinio in un’impresa. L’impresa, allo stesso tempo, sta già facendo quello che la legge prevede, sta assumendo una persona, quindi giustamente non si accolla anche un ulteriore onere”. Una questione ben più complessa di quanto si possa credere. “Che cosa è successo con la 68? Siccome c’è la possibilità di scegliere, l’imprenditore ha 2 possibilità: o decide di pagare la mora e la multa, con i soldi che poi vanno a finire nel calderone dei fondi sociali; oppure, se deve proprio assumere un disabile, va al centro di collocamento e chiede una specifica competenza. Il che vuol dire passare al mondo della disabilità fisica, perché magari si chiede un informatico, magari un disabile per la 104, un invalido civile con tutti i requisiti. Snobbando completamente le disabilità mentali. Lo Stato è il primo inadempiente della legge 68: tutti gli uffici statali dovrebbero avere la stessa percentuale di disabili di un ufficio privato, ma nessun ufficio statale lo fa. Abbiamo la migliore normativa al mondo di protezione di queste persone: quando all’estero leggono la nostra legge 104, per fare un esempio, rimangono stupiti, lo so per esperienza. La differenza è che all’estero fanno integrazione, mettono i fondi nel lavoro e nelle scuole, impiegano mesi ma poi risolvono il problema, pur non avendo la legge. Noi abbiamo una grande paracadute protettivo, leggi a favore dei ragazzi e delle famiglie che sono veramente fatte bene, abbiamo le strutture per poter salvaguardare i loro diritti… ma è tutto sfruttato male”.

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